Fu il primo a occuparsi dei bambini di strada a Yaoundé. E venne ucciso da uno di loro. Il cardinale Pietro Parolin, in viaggio in Camerun, visita anche il Foyer de l’Espérance che frère Yves Lescanne aveva fondato
«La cultura della cura come percorso di pace». È all’insegna del motto della Giornata mondiale della Pace 2021 che si compie in questi giorni (dal 28 al 3 febbraio) il viaggio del Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, in Camerun. Un segno importante e concreto di vicinanza a questo Paese, ma anche a tutta l’Africa, in questo momento così difficile, in cui la pandemia di Coronavirus sta avendo gravissime ripercussioni non solo sanitarie, ma anche economiche e sociali.
Oltre all’incontro con le autorità e alla Messa celebrata nella cattedrale di Bamenda con l’imposizione del pallio all’arcivescovo Andrew Nkea Fuanya, il cardinale Parolin visiterà anche un luogo all’apparenza “periferico”, ma proprio per questo centrale nella logica del mettere gli ultimi al primo posto: il Foyer de l’Espérance (Il Focolare della Speranza) di Yaoundé. E attraverso questa visita Parolin renderà omaggio a una figura che ha lasciato un ricordo grande e commosso nella Chiesa del Camerun: quella di frère Yves Lescanne, missionario francese dei Piccoli fratelli di Gesù, che per primo in Camerun si era reso conto del fenomeno dei bambini di strada e se ne era fatto carico. E che è stato ucciso barbaramente il 29 luglio 2002, proprio da uno dei “suoi” ragazzi.
La sua morte così violenta, ingiusta e paradossale – che potrebbe assomigliare molto a una sconfitta – è stata, in un certo senso, il compimento della vita di frère Yves. Un uomo semplice, ma profondo, che aveva dedicato tutta la sua vita a questi bambini, prima nella capitale Yaoundé poi nel nord del Paese. E proprio uno dei suoi ragazzi, un giovane che seguiva da molti anni, che aveva mandato in Francia per una delicata operazione e che aveva cercato in tutti i modi di allontanare dalla strada, si è trasformato, in un momento di rabbia e di follia, nel suo assassino.
Molti lo ricordano ancora con grande riconoscenza e affetto. Anche perché la sua morte, all’età di 62 anni, è stata per tutti coloro che lo hanno conosciuto l’ennesimo, ineludibile invito ad andare avanti. Il Foyer è rimasto aperto grazie all’impegno dei gesuiti. Ma indirettamente ha “germinato” anche altre esperienze. Una di questa ha visto protagonista padre Maurizio Bezzi, missionario del Pime, che aveva conosciuto frère Yves nel 1992 e che con lui aveva condiviso l’esperienza della strada, della prigione e del Foyer de l’Espérance, per poi dare vita al Centro Edimar, nei pressi della stazione di Yaoundé.
Un pioniere negli anni Settanta
Frère Yves aveva cominciato a occuparsi dei bambini di strada nel 1972, quand’era cappellano del settore minorile del carcere di Yaoundé. Già a quel tempo, aveva notato che molti minori, una volta usciti di prigione, vi ritornavano. «Come mai?» Si era domandato. Così ha cominciato a seguirli nelle strade della capitale, a incontrarli là dove vivevano. E ha scoperto il fenomeno, allora agli albori, dei bambini di strada. Ragazzi, spesso molto giovani, che vivevano sui marciapiedi di Yaoundé, lontano dalle famiglie, senza istruzione, senza lavoro, senza prospettive… Facevano qualche lavoretto e rubacchiavano per procurarsi qualche soldo, per mangiare e sniffare colla. Cose di poco conto, se paragonate alla delinquenza e alla violenza di oggi. Ma la polizia, anche allora, non guardava in faccia nessuno. E spesso li risbatteva in cella senza troppe formalità.
Così, frère Yves aveva cominciato ad accoglierne qualcuno in una stanza. Un giorno, tornando a casa, ha visto che sulla porta era stato affisso un foglio con la scritta: Foyer de l’Espérance, Focolare della Speranza. Nasceva così un’esperienza che ancora oggi è viva nel quartiere di Mvolyé a Yaoundé. Quella appunto di un centro di accoglienza e accompagnamento di bambini e ragazzi di età compresa tra i 7 e i 16 anni.
Il Foyer è una struttura semi-aperta, intermedia tra la vita disordinata della strada e quella più strutturata della famiglia. L’obiettivo è di preparare i ragazzi a tornare dai loro genitori o parenti. Un percorso difficile, che richiede molto impegno e molta attenzione. Per questo il Foyer de l’Espérance prevede l’accoglienza di una trentina di ragazzi, per creare, per quanto possibile, un clima di famiglia ed evitare che convivano troppi casi difficili che renderebbero alquanto arduo il lavoro di recupero e di accompagnamento verso una vita “normale”.
Sulle orme di frère Yves
«Idealmente – ricorda padre Maurizio – anche il Centro Edimar continua a fondarsi sulla visione e sullo stile di frère Yves in particolare nel modo di relazionarsi con i ragazzi di strada. La sua semplicità nello stare con loro è ancora oggi un segno distintivo della presenza e del lavoro dei nostri educatori. Non siamo “per”, ma “con” loro. Io stesso mi sono sempre sforzato di non presentarmi come un “grande” tra i “piccoli”, ma di stare in mezzo a questi ragazzi secondo la logica dell’incarnazione, per costruire un rapporto di dialogo e fiducia».
Come il Foyer, anche il Centro Edimar cerca di essere un luogo stabile nell’instabilità della strada, un luogo liberissimo, ma con alcuni punti fermi molto precisi. «È il rapporto di libertà che tiene lì i ragazzi di strada – racconta padre Maurizio -. Non diamo da mangiare né da dormire. “E allora perché tornano e sono così numerosi?”, ci siamo chiesti più volte. Forse perché si affezionano ad alcuni elementi propositivi: il gioco, il cinema, la scuola, ma soprattutto il rapporto con gli educatori, con i quali sperimentano cosa significa l’amicizia».
Un viaggio che continua
Nel 1992, frère Yves venne mandato nel nord del Camerun, dove ha cominciato a incontrare molti ragazzi che stavano per intraprendere la lunga strada verso Yaoundé. L’estrema povertà di quella regione li spingeva a lasciare le loro famiglie e i loro villaggi, per cercare fortuna in città: Maroua, Garoua, Ngaoundérè, al nord, come prime tappe. E poi Yaoundé o Doaula, al sud, miraggio di speranze che quasi mai si realizzano. A Maroua, nella sua abitazione, è finito anche il “viaggio” di frère Yves. Un viaggio che altri stanno continuando…