Padre Francesco Sorrentino ha percorso in auto da San Paolo 2.946 chilometri attraversando sei Stati del Brasile per raggiungere Belém in Amazzonia, la sua nuova destinazione. Un viaggio tra contemplazione e domande sulla giustizia come racconta lui stesso in questo articolo
Mi hanno sempre colpito le parole di dom Helder Câmara: «Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche. Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro». È vero: guai a noi se riducessimo la missione a una semplice questione di distanze geografiche da essere raggiunte. Tuttavia, per chi come me è missionario in un Paese le cui dimensioni sono circa trenta volte superiori a quelle dell’Italia, il “divorare chilometri” diventa un fatto quasi inevitabile.
Come pellegrini
Questa volta sono stati quattro giorni di viaggio, in auto, da San Paolo a Belém (Betlemme) nello Stato del Parà: 2946 chilometri, per raggiungere la nuova destinazione missionaria. Alessandro, amico laico brasiliano, mi ha accompagnato in quella che qualcuno ha definito un’avventura e qualcun’altro una pazzia. Per noi è stata qualcosa di diverso, più simile all’esperienza dei pellegrini. Lungo il cammino, infatti, abbiamo chiesto ospitalità in case parrocchiali: un piatto caldo per rifocillarci, un letto per riposare, un altare per celebrare l’Eucaristia, e poi di nuovo in viaggio.
Panorama e Vangelo
Abbiamo attraversato sei Stati: San Paolo, Minas Gerais, Goiás, Tocatins, Maranhão e, finalmente, il Pará, all’estremo Nord del Paese, già in terra amazzonica. Il panorama che faceva da cornice era composto da immense estensioni di terreno disabitato.
Questo scenario paradossale, dal momento che in Brasile più di 6 milioni di famiglie non hanno un tetto per vivere, suscitava alcune domande. Perché molti non hanno una casa? Perché nelle periferie delle grandi città molte abitazioni, se così si possono definire, sorgono in forma abusiva su terreni pericolosi e in condizioni precarie? Lo spazio è insufficiente per una popolazione di circa 200 milioni di abitanti o la giustizia e la condivisione non hanno ancora messo radici, nonostante più di cinquecento anni di cristianesimo? Mentre affioravano in me queste riflessioni, mi sentivo confermato nella vocazione missionaria, perché, per chi crede, solo il Vangelo può far sorgere una società giusta e fraterna, secondo il progetto di Dio.
Pensieri sparsi
Il nostro viaggio continuava. Dopo i primi 1500 km la stanchezza si faceva già sentire e Alessandro mi avvertiva che ancora c’era tanta strada da percorrere. In realtà, con il mio pensiero l’avevo già percorsa tutta. Pensavo al mio ritorno in Amazzonia e alle parole di Papa Francesco nell’esortazione apostolica Querida Amazonia: “Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa. Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana. Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste. Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici” (n. 7). Pensavo, inoltre, alla nuova comunità che da lì a poco mi sarebbe stata affidata nell’area portuale vicino al Rio Guamá, nella grande metropoli di Belém, insieme alle sfide pastorali che mi attendevano. Erano pensieri sparsi di un missionario pellegrino, spinto a continuare il suo viaggio dalla speranza di poter essere utile a qualcuno.
Il viaggio continua
Chilometro dopo chilometro, pensiero dopo pensiero, il 2 febbraio, eccoci giunti alla meta. Ad accogliermi nella nuova missione della parrocchia Santa Luzia c’era padre Flavio Piccolin e tanti volti sconosciuti di fratelli e sorelle, che mi hanno fatto sentire in casa, da subito. Adesso il mio viaggio continua con loro. In fondo – giusto per riprendere Dom Helder – «Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato. Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi. Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con intelligenza e delicatezza, soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino». Ecco un buon programma per continuare ad essere un missionario pellegrino.