Anche in Uttar Pradesh le leggi anticonversione

Anche in Uttar Pradesh le leggi anticonversione

Lo Stato più popoloso dell’India si è aggiunto alla lista degli Stati indiani in cui è in vigore il provvedimento ritenuto dai fondamentalisti indù una bandiera per la difesa della propria identità contro cristiani e musulmani. Il vescovo di Lucknow: «A farne le spese saranno come sempre i gruppi minoritari»

 

Il 24 febbraio, lo Stato indiano settentrionale dell’Uttar Pradesh, il più popoloso dell’India con 240 milioni di abitanti su un territorio di poco inferiore a quello italiano, si è dato una nuova “Legge contro la conversione illegale”. Le pene per i trasgressori arrivano a 10 anni di carcere e l’equivalente di 600 euro e la loro severità amplifica lo scetticismo e i dubbi sulla necessità di un simile provvedimento, che arriva ultimo di una serie che si va allungandosi tra i 36 Stati e Territori in cui è diviso amministrativamente il Paese, con uno dello stesso tenore all’esame anche del Parlamento federale.

Da tempo, quello che per le minoranze potenzialmente coinvolte sembra un provvedimento discriminatorio se non apertamente repressivo nei loro confronti, per i governi locali e per quello centrale guidati dal filo-induista Bharatiya Janata Party (Bjp) viene ritenuto necessario per contrastare iniziative di conversione che, spesso in modo fraudolento, cercano di minare l’identità nazionale, ovvero induista. Tra queste vi sarebbero le attività di proselitismo di missionari cristiani che con incentivi carpirebbero soprattutto la buonafede di tribali, aborigeni e dalit, ma anche – per i musulmani – quella che nel contesto induista estremista viene indicato come “love jihad”, ovvero la conversione di donne indù da parte di uomini musulmani con l’obiettivo di accrescere in modo consistente la consistenza della comunità islamica (oggi il 16% degli indiani) e, con una prole numerosa, puntare al predominio demografico. Entrambe le strategie non sono state soltanto confutate da esponenti delle due comunità e anche dall’estero, ma non hanno un fondamento statistico.

Nel caso dell’Uttar Pradesh, ad esempio, la storia ma anche la cronaca quotidiana mostrano che la discriminazione, a volte con effetti cruenti, è quella degli indù di casta superiore nei confronti degli islamici (qui quasi il 20% della popolazione), come pure dei dalit (gli ex “fuoricasta”) che costituiscono anche la maggioranza della popolazione battezzata. Per inciso, in questo Stato i cristiani sono soltanto 350mila (0,18% degli abitanti), tutt’altro che un numero in grado di cambiare gli equilibri religiosi e culturali.

Eppure, proprio il primo ministro dell’Uttar Pradesh, Yogi Adityanath, è uno dei più ardenti sostenitori della nuova legge, per lui necessaria per tenere sotto controllo la conversione mirata al matrimonio. «Non c’era bisogno di una nuova legge, dato che lo Stato aveva già a disposizione strumenti per controllare fenomeni di conversione, ma è preoccupante, perché potrebbe essere sfruttata dalla maggioranza accusandoci di conversioni forzate, soprattutto a spese dei gruppi minoritari», ha dichiarato all’agenzia UcaNews il vescovo di Lucknow, mons. Gerald John Mathias. D’altra parte, ha sottolineato il vescovo, «la Chiesa cattolica non promuove o diffonde conversioni religiose e nemmeno crede nelle conversioni forzate. Non ci sono statistiche di casi di conversione che coinvolgano la Chiesa cattolica in questo Stato».

Per la nuova legge ogni matrimonio che abbia come vero obiettivo la conversione sarà annullato e coloro che intendano cambiare la propria religione dopo l’unione dovranno farne richiesta al magistrato distrettuale.