Il Mare di mezzo è da sempre luogo chiave per la storia delle civiltà, fucina di conoscenza e progresso ma anche «capace di accecare», scriveva il sociologo algerino Khaled Fouad Allam in questo intervento inviato alla nostra rivista poco prima della sua scomparsa. Delineando le sfide epocali che oggi solcano le acque del Mare Nostrum
Jean Grenier, che fu docente di filosofia al liceo algerino di Orano quando lo scrittore Albert Camus era ancora adolescente, scrisse nel suo saggio Ispirazioni Mediterranee: «Niente è più bello, niente è più significativo per chi ama dello stesso amore l’Africa e il Mediterraneo che contemplare la loro unione, dall’alto di Santa Cruz, vicino a Orano. Esistono nel sud solitudini più segrete, spazi più vasti, ma allora bisogna strapparsi al mare, lasciare questo simbolo del possibile, restare soli di fronte al reale».
Grenier fu una persona estremamente importante nella formazione dello scrittore, ed è per questo che probabilmente le pagine più intense sul Mediterraneo sono state scritte da Camus.
In tedesco “Mediterraneo” si dice “Mittelmeer” ovvero il “Mare di mezzo”, in arabo si dice “il mar bianco in mezzo”. Bianco e mediazione sono le due parole che lo definiscono, semplicemente perché la sua olografia è tale che implica un costante processo di contaminazione, di mediazione, altrimenti al contrario può succedere la catastrofe, l’apocalisse dei nostri giorni.
Non è un caso che proprio sul Mediterraneo furono inventate la tragedia e la democrazia, i monoteismi e la ricerca costante della salvezza.
Il Mediterraneo è un luogo strano, che ti affascina ma che ti può anche accecare; ci si può perdere in questo mare, e lasciarsi andare alle condizioni più disumane.
Ricordiamo ciò che è successo nella guerra dei Balcani, e ciò che accade oggi nel cuore del Medio Oriente, in Siria ed Iraq, nel canale di Sicilia, nella Libia disintegrata: si tratta di un Mediterraneo alla rovescia, che si contamina dei conflitti e non più della ricerca della salvezza.
Perché tutto questo? Esiste un significato, una logica nascosta?
Mentre il Mediterraneo sembra essere abbandonato a se stesso, come una deriva sulla deriva, è il suo proprio mare che lo porta, in una specie di suicidio collettivo, suicidio che non ha ancora trovato il suo nome, tale è ancora enigmatica la sua situazione.
Tutto questo contrasta con la missione che ha il Mediterraneo dinnanzi al mondo, vale a dire ciò che ci ha insegnato in termini di alterità, di possibilità di dialogo, di scambi fra le culture. Molti hanno dimenticato, ad esempio, la scuola di traduttori di Toledo, in cui ebrei, arabi e cristiani insieme hanno fatto progredire l’umanità: nell’arte, nella musica, nella letteratura il Mediterraneo ha saputo essere una filosofia dell’altro.
Oggi tutto questo si dissolve come una specie di effervescenza: non si vede più nulla, l’orizzonte scompare dinnanzi al buio della storia. Nel Mediterraneo è l’uomo che si sta perdendo, come catturato da un’incomprensibile voglia di distruzione: è terribile vedere i morti che “percorrono” le nostra quotidianità ed è impressionante l’annientamento delle minoranze, la distruzione del patrimonio simbolico di quest’area, di queste pietre che erano il sole della condizione umana; e quando l’uomo distrugge le pietre, come un cacciatore uccide un animale, è l’uomo che è in questione, non la cultura.
La nostra epoca soffre terribilmente della mancanza di un nuovo pensiero, della mancanza di un altro Camus, che negli anni 50 scrisse L’uomo in rivolta, in piena guerra d’Algeria (1954-1962) e oggi probabilmente sarebbe necessario scrivere un altro saggio sulla malattia dell’uomo.
Come invertire ciò che sta accadendo? Di certo l’Europa in questi ultimi anni ha mancato il suo compito. Non può esistere un’Europa staccata dal Mediterraneo: i legami storici sono talmente profondi che ogni carenza politica, sociale, culturale si traduce in una devastazione individuale e collettiva. Ne risulta una solitudine dell’uomo della sponda Sud del Mediterraneo, una solitudine non creativa ma distruttiva, al confine della follia, ed è proprio il sole mediterraneo che ci acceca e l’ulivo sotto cui stiamo seduti ci cade addosso, quell’albero chiamato nel Corano “né d’Oriente né d’Occidente”.
Il Mediterraneo ha bisogno dell’Europa, non solo perché le sue interazioni sono fondamentali ma perché l’attuale situazione è arrivata a un tale grado di pericolosità mondiale che, contrariamente a ciò che si pensa o a ciò che si dice in alcuni ambienti “think tank” di geopolitica, il Mediterraneo occupa e occuperà un posto centrale nei futuri equilibri mondiali, e non intendo solamente i rapporti Nord – Sud ma tutta la linea Asia – Pacifico.
La stessa parola “Vicino Oriente” indica la prossimità all’oriente: la Cina e l’immenso continente asiatico, dal Subcontinente indiano all’Indonesia. Il Mare di mezzo diventa una via di passaggio, ma questa via di passaggio non può essere libera se l’uomo non si libera da se stesso.
Per il momento l’Europa sembra aver costruito per l’uomo un posto fra la “non vita” e la “non morte”, situazione terribile questa, che implica la negazione di ogni esistenza reale. I morti che annegano quasi ogni giorno nel canale di Sicilia sono morti per l’Europa, ma questo l’Europa per il momento non lo vede e dunque non lo capisce.