Tagle: «La mia esperienza nei movimenti popolari»

Tagle: «La mia esperienza nei movimenti popolari»

Il ricordo degli anni nelle Filippine quando «i nostri sogni erano cantati», il sostegno alle cooperative di agricoltori o alle donne disoccupate da giovane prete, il monito sui pericoli del salto dalla piazza alla politica: pubblichiamo la trascrizione di un intervento del prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli tenuto qualche settimana fa a un convegno promosso dall’arcidiocesi di Milano su un tema che dal Myanmar all’America Latina oggi è quanto mai attuale

 

Il 13 febbraio scorso il cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, è intervenuto in streaming al convegno «Fratelli tutti? I movimenti popolari: pensare e agire come comunità», promosso dall’arcidiocesi di Milano e dalla Caritas Ambrosiana. Pubblichiamo una nostra trascrizione delle parole pronunciate a braccio dal cardinale Tagle sulla sua esperienza nelle Filippine coi movimenti popolari, in una situazione che ricorda molto le speranze e le battaglie dei protagonisti di tante cronache che continuano a giungerci anche in questi giorni dall’Asia e da tante altre parti del mondo. E proprio oggi i movimenti popolari dell’Argentina si riuniranno al santuario mariano di Lujan per ricordare gli otto anni dall’elezione di Papa Francesco

Vorrei condividere la mia esperienza dei movimenti popolari nelle Filippine, specialmente quando ero seminarista. Io credo che nello sviluppo delle Filippine come popolo, come nazione, i movimenti popolari abbiano giocato un ruolo indispensabile.

Prima di entrare in seminario, durante il periodo della dittatura, facevo parte di un gruppo di studio, quasi un movimento popolare di riflessione e approfondimento. Ero il più piccolo membro di questo gruppo, in cui ho imparato la creatività “popolare”: per esempio, noi usavamo la musica, il teatro, anche la religiosità popolare per condividere con tutti una visione della patria. I nostri sogni erano recitati, non solo come materia di una lezione: si può cantare un sogno, e ho scoperto che per la gente delle Filippine – non so se negli altri Paesi è lo stesso – è più facile ricordare le canzoni che le lezioni.

È possibile insegnare alla gente a cantare ogni giorno un sogno, una visione della vita, un sogno per la patria, così come si può vedere un atto teatrale come una forma di catechesi. La mia esperienza dei movimenti popolari è una formazione, un’educazione verso una visione di una società, di comunità.

Più avanti, come sacerdote, ho partecipato a piccole comunità cristiane. Per me i semi della riforma nazionale, la cosiddetta rivoluzione pacifica, nel 1986, si sono trovati in queste piccole comunità cristiane, nutrite della preghiera comune. La riflessione sulla Parola di Dio è la sfida della vita quotidiana: questo ponte fra la Parola di Dio e la vita quotidiana e la capacità di ascoltare non solo il grido del popolo, ma anche la chiamata del Signore. Per me questo è non solo un movimento popolare ma una formazione di coscienza individuale e anche sociale nella Chiesa.

Altre forme di movimento a cui ho partecipato sono le cooperative di agricoltori di caffè in una parrocchia, o una cooperativa di donne disoccupate, ma anche la pastorale giovanile, il gruppo degli studenti, le comunità indigene… Tutti loro hanno suscitato all’interno di una visione globale interessi e sollecitudini particolari.

Tuttavia, c’era la tendenza a catalogare o dare un’etichetta a questi movimenti come comunisti, socialisti… Ho imparato che è importante, per ogni movimento focalizzato su un argomento di interesse sociale, presentare il proprio impegno come un vero interesse di tutti, di tutta la patria, non di un singolo gruppo ma di tutto il popolo. In questo modo un movimento popolare diventa un movimento umano, un movimento veramente sociale, in cui tutta la gente può identificarsi.

Infine, nelle Filippine ho assistito al tentativo di alcuni leader dei movimenti popolari di entrare in politica, di farsi eleggere come delegati al Parlamento o al Senato, nella speranza di cambiare da dentro il sistema politico, la cultura politica, la visione economica. Si tratta di un’idea giusta e di un impegno in certi casi eroico, ma c’è anche purtroppo un pericolo. Perché pian piano alcuni leader di questi movimenti – non tutti – diventano politici e il collegamento con le loro radici si indebolisce. Questa è una tentazione per tutti. Quindi quando assistiamo all’organizzazione e anche all’istituzionalizzazione di un movimento, che può avere una prospettiva molto importante, è necessario non perdere questo dinamismo che si alimenta dall’essere radicati nel popolo, non distaccati. Se un leader diventa un ideologo o un puro politico, nel senso del legame con un partito, il movimento popolare ne soffre.