È morto Monsignor Luigi Mazzucato, fra i fondatori di Cuamm-Medici con l’Africa, ong che da 70 anni invia medici e infermieri nel continente africano. Un uomo che ha dedicato la vita all’Africa in cui ora si trova Papa Francesco. E che non si dimenticava mai un volto.
Ha visto partire per l’Africa centinaia e centinaia di volontari l’anno, per oltre cinquant’anni. Medici e infermieri, famiglie, vite intere. Monsignor Luigi Mazzucato, storico fondatore di Medici con l’Africa Cuamm è scomparso ieri, proprio mentre Papa Francesco si trovava nella sua amata Africa.
A volte di un’intervista resta impresso un particolare. Don Luigi lo vedo a tarda sera, in un ufficio vuoto, perché tutti sono già andati a casa, mentre rilegge la lista dei nomi delle persone partite negli anni per un continente al quale aveva dedicato la vita. Lo faceva per non dimenticare i loro nomi – mi aveva confessato – e i volti.
“Un aspetto chiave in Africa è l’impiego delle risorse umane, la formazione del personale locale, la costruzione di sistemi che possono funzionare” diceva. “I problemi non si risolvono solo con gli aiuti, ma affrontando le questioni di fondo relative alla giustizia e all’equità dei rapporti economici. Altrimenti i Paesi africani avranno sempre bisogno della carità degli altri, che poi però li terranno in uno stato di dipendenza. Bisogna valorizzare le risorse, le energie, le capacità che i Paesi africani hanno per crescere”.
Ecco uno stralcio di quell’intervista, fatta nel 2005 mentre Medici con l’Africa combatteva in Angola contro una terribile epidemia, il morbo di Marburg.
Da quanto tempo è direttore del Cuamm?
Mazzucato: Dal 1955.
È stato lei il fondatore?
Non proprio. Il Cuamm è nato nel 1950 dall’iniziativa di un laico, il dottor Francesco Canova. Aveva lavorato come medico volontario per 10 anni in Giordania, e la sua idea era quella di creare una facoltà di medicina per il terzo mondo. È nato poi un collegio di studenti universitari con l’appoggio della diocesi di Padova. Nel 72 il Cuamm è stata la prima ong a essere riconosciuta dal ministero degli Affari esteri. C’era Aldo Moro ministro degli Esteri.
Avrà visto passare moltissime persone in questi anni?
Sì, è così. Con il Cuamm sono partite più di 1.300 persone: chi per due anni, chi per cinque o dieci, alcuni per tutta la vita. E poi ci sono tutte le persone passate di qui per i corsi di formazione. Le relazioni sono moltissime.
Quanti medici e infermieri sono al momento in Africa?
Esattamente 85.
Conosce tutti?
Sì. Ma ricordo anche tutti quelli che sono passati negli anni precedenti. Ogni tanto vado a rivedermi l’elenco. Per non dimenticarli.
Perché il Cuamm ha scelto di concentrare il suo impegno in Africa?
Abbiamo deciso di chiamarci Medici “con” l’Africa e non “per” l’Africa, con l’idea di condividere con questo continente gli sforzi per migliorare le condizioni di salute della sua gente. Il nostro criterio è operare sul lungo periodo, per lo sviluppo, piuttosto che nell’emergenza. Non siamo attrezzati ad affrontare crisi acute. Ci troviamo dentro alle emergenze, come in questo caso, e facciamo tutto il meglio che possiamo. In alcuni Paesi siamo presenti da 40 anni: collaboriamo cercando di costruire strutture, di far funzionare i servizi, di sostenere le direzioni sanitarie locali, dai centri sul territorio fino al ministero e all’università.
Quali sono i vostri criteri?
Puntiamo a formare risorse umane locali e a utilizzare soluzioni appropriate, invece di importare mezzi dall’Italia. I servizi devono essere sostenibili e accessibili a tutti. Abbiamo imparato che è inutile costruire strutture costosissime se poi diventano ingestibili.
Come scegliete le aree di intervento?
Cerchiamo di andare nelle zone più povere.
Si sta parlando di una nuova trance di aiuti per l’Africa. Servono?
Un aspetto chiave è l’impiego delle risorse umane, la formazione del personale locale, la costruzione di sistemi che possono funzionare. I problemi non si risolvono solo con gli aiuti, ma affrontando le questioni di fondo relative alla giustizia e all’equità dei rapporti economici. Altrimenti i Paesi africani avranno sempre bisogno della carità degli altri, che poi però li terranno in uno stato di dipendenza. Bisogna valorizzare le risorse, le energie, le capacità che i Paesi africani hanno per crescere e svilupparsi.
Che sentimenti ha per i volontari che partono?
Di meraviglia e ammirazione. Perchè dopo 50 anni vedo ancora gente che potrebbe stare in Italia e fare una vita normale, e invece sceglie di partire per Paesi dove le condizioni sono diverse. Ecco, dopo tanti anni vedere ancora giovani – e non più giovani – che vengono qui, frequentano i corsi e poi partono, mi meraviglia e mi dà fiducia. C’è molto di positivo. Credo che ci sia una grande disponibilità, più di quanto si pensa, e ci vorrebbe più coraggio nel fare proposte di servizio agli altri.
È stato spesso in Africa?
Credo di esserci stato più di cento volte. Ho cominciato a lavorare nel Cuammche avevo 28 anni, ora ne ho 78.
Ci ha dedicato tutta la vita…
Sì, devo dire di sì.