Con il prossimo ritiro delle forze straniere in Afghanistan entro l’11 settembre, Zebulon Simentov – l’ultimo ebreo del Paese – teme il ritorno dei talebani ed è pronto a partire per Israele: “Ho perso la fiducia nell’Afghanistan… non c’è più vita qui”
Per decenni, l’ebreo Zebulon Simentov, nato a Herat, si è rifiutato di lasciare l’Afghanistan – sopravvivendo all’invasione sovietica, alla guerra civile, al dominio brutale dei talebani e all’occupazione della sua patria da parte degli Stati Uniti.
Ma la prospettiva del ritorno dei talebani sta preparando l’ultimo ebreo di Kabul a dire addio. Timore che potrebbe diventare realtà in seguito all’accordo raggiunto da Washington per ritirare tutte le forze statunitensi entro il 20° anniversario dell’11 settembre, quattro mesi dopo la data del 1° maggio che era stata precedentemente ipotizzata negli accordi di Doha con i talebani nel febbraio 2020. Ad annunciare il ritiro delle truppe anche Italia, Germania, Regno Unito e Australia. L’unico Paese della coalizione con militari tuttora presenti nel Paese che considera un errore il ritiro delle truppe è la Repubblica Ceca.
La partenza di Simentov rappresenterebbe un triste simbolo dal punto di vista storico. Gli ebrei, infatti, hanno vissuto in Afghanistan per più di 2.500 anni; a decine di migliaia risiedevano una volta a Herat, dove quattro sinagoghe sono ancora in piedi a dare testimonianza dell’antica presenza della comunità nel Paese. A partire dal XIX secolo molti ebrei hanno lasciato questa terra per tonare in terra di Israele. Anche i parenti di Simentov se ne sono andati, comprese sua moglie e le sue due figlie. Ora è certo di essere l’ultimo ebreo afgano nel Paese.
“Perché dovrei rimanere? Mi chiamano infedele”, ha raccontato Simentov all’agenzia Afp nell’unica sinagoga di Kabul. “Sono l’ultimo, l’unico ebreo in Afghanistan… Le cose potrebbero peggiorare per me qui. Ho deciso di partire per Israele se dovessero tornare i talebani”. Vestito con una tunica e pantaloni tradizionali afgani, una kippah nera ebraica e i tefillin sulla fronte, Simentov ricorda gli anni prima dell’invasione sovietica come il periodo migliore per l’Afghanistan. “I seguaci di ogni religione e setta avevano piena libertà a quel tempo”, ha affermato Simentov, che si definisce un afgano orgoglioso.
Ma quanto avvenuto da allora lo ha amareggiato – in particolare il dominio talebano dal 1996 al 2001, quando gli islamisti hanno cercato di convertirlo. “Questo vergognoso regime talebano mi ha messo in prigione quattro volte”, ha raccontato. In un episodio hanno saccheggiato la sinagoga, strappato i libri in ebraico, rotto le menorah – i candelabri – e portato via l’antica Torah. “Per i talebani questo è l’Emirato Islamico e gli ebrei non hanno diritti qui”.
Simentov, tuttavia, finora ha sempre rifiutato di andarsene. “Ho resistito. Ho reso la religione di Mosè orgogliosa qui”, ha raccontato all’agenzia Afp baciando il pavimento della sinagoga. “Se non fosse stato per me, la sinagoga sarebbe stata venduta 10, 20 volte”, ha aggiunto.
Quando i talebani sono stati cacciati nel 2001, Simentov credeva che l’Afghanistan avrebbe prosperato. “Pensavo che gli europei e gli americani avrebbero sistemato questo Paese… ma non è successo”. E ora teme quello che lo aspetta se rimane. “I talebani sono gli stessi di 21 anni fa. Ho perso la fiducia nell’Afghanistan… non c’è più vita qui”, ha concluso.
Foto: The Times of Israel