Matteo Badin – studente ventunenne del milanese – racconta un viaggio in Asia centrale con una tappa in Afghanistan. Meta rischiosa e pericolosa a causa dei conflitti e degli attacchi terroristici, ma che offre anche “ospitalità e fascino culturale”
«Pensiamo solo e sempre alla guerra, ma l’Afghanistan è anche altro». Parola di Matteo Badin, 21 anni, milanese, aspirante “travel vlogger” reduce da un viaggio in Asia centrale. Tra Uzbekistan (15-18 aprile/21-28 aprile), Afghanistan (18-21 aprile) e Kirghizistan (28 aprile-5 maggio). «È un Paese che ha tanto da offrire: se non fosse per la guerra, l’Afghanistan sarebbe una meta turistica – spiega Matteo, che nella sua vita ha già visitato 37 Paesi -. La moschea blu di Mazar-i Sharif è uno dei monumenti più belli che abbia mai visto: è un luogo estremamente sacrale, dove la gente cammina scalza in pace. I giardini di Babur, a Kabul, sono incantevoli. Ci sono poi i siti buddhisti dell’Afghanistan preislamico, come Samangan. La stessa Herat, nella quale non sono stato, è nota per essere una città molto bella».
Dopo aver ottenuto il visto a Dubai, Matteo ha raggiunto l’Afghanistan dall’Uzbekistan. Via treno, passando per la città di Termez. Il suo viaggio in Afghanistan ha toccato, nell’ordine, Mazar-i Sharif, Kabul e Samangan, prima del ritorno in Uzbekistan. «La Farnesina e l’ambasciata italiana sconsigliano di recarsi in Afghanistan: è un posto rischioso, ma se sei con una guida locale, che sa dove portarti ed è aggiornata in tempo reale, sei tranquillo – prosegue Matteo, milanese di Trezzano sul Naviglio -. Chi viaggia in Afghanistan, sa bene a che cosa va incontro». E deve attuare una serie di accorgimenti. «Dovevo osservare le regole del buon costume, tenendo presente che era periodo di Ramadan. Bisogna evitare di dare nell’occhio. Sia nel vestiario sia nei comportamenti. Ad esempio, sui social è consigliato postare non in tempo reale. Mentre ero lì, ho incontrato anche altri turisti, sempre accompagnati da guide: ovviamente non ci si può muovere da soli. Si comprano dei pacchetti, comprensivi di trasporti, accompagnatore e alloggi protetti. A Kabul si respira aria di tensione, tra continui checkpoint e militari ovunque: il mio hotel nella capitale, nascosto dietro ad un anonimo cancello, era protetto da guardie armate, doppia cinta muraria e filo spinato».
La prima impressione di Matteo sull’Afghanistan è stata quella di un Paese dai profondi problemi sociali. «È il quarto mondo. Rispetto a Uzbekistan e Kirghizistan, che sembrano Paesi dell’Est Europa, la differenza è notevole. Mazar-i Sharif, per esempio, è ferma a 100 anni fa, se non fosse per le auto in giro. Kabul è già più moderna, con le strade asfaltate, anche per la presenza di tanti militari stranieri. La miseria è diffusa. I tanti sfollati intasano Kabul dalle campagne: abitano le baraccopoli sulle colline della capitale. Per strada si vedono diversi mutilati di guerra e persone che vivono sui marciapiedi, chiedendo l’elemosina. La disoccupazione è dilagante: tanti giovani si arruolano nell’esercito perché, pur poco pagati, avranno uno stipendio sicuro. Anche l’istruzione è un grosso problema: ho visto alcuni bambini con lo zainetto dell’Unicef, ma sono in pochi quelli che frequentano le loro scuole. La maggior parte dei ragazzini lavora alle bancarelle dei mercati». E la condizione della donna? «È migliorata rispetto ai tempi del regime talebano: circa la metà delle donne porta il burqa, le altre girano con il viso scoperto. Legalmente hanno più diritti, sono più tutelate, ma le regole implicite della società non sono cambiate molto. I pashtun, ad esempio, sono particolarmente conservatori sotto questo punto di vista».
Quest’ultimi sono l’etnia più numerosa nel Paese. «La maggior parte dei talebani è pashtun. E porta avanti un pensiero per cui la loro etnia è l’unica pura afgana. Le altre sarebbero straniere, come nel caso di tagiki, uzbeki e turkmeni, o impure, come gli hazara, che secondo i talebani si sono imbastarditi con i mongoli. I pashtun sono l’etnia più numerosa: tanti di loro simpatizzano per i talebani, altri no. I talebani, che sono sunniti, non attaccano le moschee degli sciiti: i loro bersagli sono i luoghi pubblici, le scuole e gli edifici governativi. Dal parlamento, ad esempio, siamo stati alla larga, mentre le moschee, in tal senso, sono sicure. I mercati sono affollati: può capitare di trovare le persone sbagliate. La presenza talebana è forte fuori dalle città: lì le strade non sono per nulla sicure».
In Afghanistan avvengono attacchi e violenze, nella più ampia cornice degli scontri fra il Governo centrale e i talebani. Uno degli episodi più recenti è stato la strage in un liceo di Kabul, nella quale sono morte almeno 50 persone, in maggioranza giovani studentesse. «Quando ero lì, non è successo nulla – racconta Matteo, che nella vita di tutti i giorni studia comunicazione alla Statale di Milano, e si divide tra i lavori di video maker e pony pizza -. Al momento i talebani occupano il sud-ovest del Paese. Io ero nel nord-est, che è in mano al Governo centrale. Per strada, nelle zone governative, ci sono manifesti in memoria dei caduti in guerra. È spesso raffigurato Aḥmad Shāh Masʿūd, un mujahidin anti-talebano che il Governo ha elevato ad eroe della patria. È stato ucciso da Al Qaida qualche giorno prima dell’11 settembre 2001».
La presenza americana in Afghanistan è iniziata proprio in quel periodo, a seguito dei fatti terroristici dell’11 settembre 2001. Dopo vent’anni dall’inizio della missione statunitense, il presidente Joe Biden ha annunciato, lo scorso aprile, che il prossimo 11 settembre è la nuova data del ritiro completo dei soldati americani dall’Afghanistan. Anche se i talebani non sono stati sconfitti. «Il ritiro delle truppe internazionali dal Paese è un argomento controverso. Le guide si dicevano contente che finisse l’ingerenza esterna, ma anche molto preoccupate: se i talebani non dovessero mantenere le promesse di pace fatte, potrebbero essere guai seri per l’intero Paese. Tante famiglie non pashtun stanno pensando di trasferirsi in Uzbekistan, ma è costoso. Le truppe straniere erano garanti dell’ordine: ora c’è il rischio che il Paese ricada nel caos. Nelle zone controllate dal Governo afghano, i soldati della contingente internazionale davano una grande mano. I talebani, infatti, sono forti. E posseggono la maggior parte del mercato dell’oppio e dell’hashish».
A questi problemi si aggiunge l’emergenza sanitaria. Per un totale di oltre 60 mila casi dichiarati di positività e circa 2.700 decessi. «In realtà al Covid-19 non ci pensano più di tanto. Ero uno dei pochi con la mascherina. Indossarla non è obbligatorio. Nemmeno sul volo interno da Mazar-i Sharif a Kabul. Quando sono arrivato via terra dall’Uzbekistan, al momento di entrare in Afghanistan non mi è stato chiesto neanche il tampone».
Tornato in Italia, Matteo ha iniziato a condividere su Instagram le stories del suo viaggio in Asia centrale, «perché mi interessa che alla gente importi di questi posti. L’Afghanistan non è solo guerra e terrorismo. Chiaramente il Paese è lo scenario di uno dei conflitti più lunghi e complessi del giorno d’oggi, ma questo è solo un aspetto. Quello brutto, del quale si parla sempre. Invece c’è anche tanto di bello: l’ospitalità delle persone, l’unicità dei posti e il fascino culturale».