È uno dei versi più famosi ed intriganti di Franco Battiato, il musicista scomparso ieri. Ma a che cosa fa riferimento questa frase apparentemente misteriosa? Il riferimento è ovviamente a Matteo Ricci che oltre a essere missionario e umanista, era anche uno scienziato di grande valore. Ma quando Battiato scrisse la sua canzone era assai meno conosciuto rispetto a oggi
Gesuiti euclidei
vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori
della dinastia dei Ming
È uno dei versi più famosi ed intriganti di Franco Battiato, il musicista morto ieri. Appartiene alla canzone Centro di gravità permanente, uscita nel settembre 1981, inclusa nell’album La voce del padrone. Ebbe un successo enorme e vendette più di un milione di copie. Mi è capitato che qualcuno mi chiedesse di spiegarne questa frase apparentemente misteriosa. E con questo saggio leggero leggero, vorrei rendere omaggio ad un artista straordinario, che ci ha tenuto compagnia da giovani e da adulti.
La bella citazione di Battiato mostra la vastità della sua cultura e la molteplicità delle sue ispirazioni. Il riferimento è ovviamente a Matteo Ricci, gesuita, umanista, scienziato e soprattutto missionario, nato a Macerata nel 1552. Tra il 1583 e il 1610, fondò cinque comunità cristiane in importanti città della Cina. È il padre del cattolicesimo cinese, e molto si scrive su di lui. Ma quando Battiato scrisse la sua canzone, Ricci e la sua impresa erano assai meno conosciuti di adesso.
Matteo Ricci arrivò a Macao nel 1582 e l’anno seguente, con Michele Ruggieri, fondò la prima presenza gesuitica in Cina continentale. Si stabilirono a Zhaoqing, lungo il fiume delle Perle, non lontano da Guangzhou (Canton). Per essere accettati dal Governatore provinciale Wang Pan, e su indicazione del loro superiore, il “Visitatore” Alessandro Valignano, i due missionari si rasero barba e capelli e si vestirono come dei monaci buddhisti (ovvero bonzi), indossando la lunga veste arancione. Abitarono presso una pagoda, e si fecero chiamare “monaci dall’ovest”, una definizione dalla forte connotazione buddhista (una religione che, per i cinesi, proveniva dall’Ovest, ovvero dall’India). Questa strategia missionaria passerà alla storia come “metodo dell’accomodamento”.
Ricci, Ruggieri e i pochi compagni che via via li raggiungevano, riuscirono a convertire alcune persone, ma la gran parte del popolo pensava che fossero davvero buddhisti. Ricci se ne rese conto, e non ne era affatto contento. Ruggieri, a cui questa strategia invece andava bene, tornò in Italia per organizzare un’ambasceria a Pechino, che non poté essere realizzata. Con il consenso del Visitatore Valignano, Ricci cambiò strategia missionaria. Nel 1595, dopo anni di accomodamento buddhista lasciò crescere barba e cappelli, e decise di vestirsi come un letterato confuciano, con tanto di copricapo. In tutti quegli anni, infatti, aveva assorbito la cultura e studiato i testi confuciani (che tradusse in latino). Ricci riteneva che la filosofia confuciana fosse propedeutica al cristianesimo e con esso compatibile.
Entriamo nello specifico del verso di Battiato: l’episodio a cui si riferisce accadde tra il 25 e 27 gennaio 1601. Matteo Ricci, dopo disavventure che non possiamo qui raccontare, fu finalmente ammesso nella Città proibita, ovvero la corte imperiale a Pechino. L’imperatore della dinastia dei Ming si chiamava Wanli. Ricci era in compagnia del missionario spagnolo Diego De Pantoja e di due coadiutori gesuiti di origine cinese Zhong Mingren e You Wenhui (conosciuti nelle fonti occidentali con nomi portoghesi Sebastião Fernandez e Manuel Pereira). È chiaro al lettore che Ricci e compagni non erano vestiti da bonzi (come suggerisce Battiato), ma da letterati confuciani.
Si inchinarono davanti a un trono… vuoto, in quanto l’imperatore non riceveva di persona nessuno, neanche i suoi ministri. Da perfetto taoista, governava attraverso l’assenza e il non-governo. La filosofia taoista insegna, infatti che, grazie al non-agire, tutto funziona meglio, perché segue la propria natura.
Le fonti gesuitiche ci dicono, però, che Wanli era così curioso di vedere per la prima volta degli stranieri in vita sua che si nascose dietro una tendina, e da lì li sbirciava. I gesuiti portarono all’imperatore 16 doni, tra cui la mappa del mondo di Ortelius e due orologi, uno grande e uno piccolo, che per funzionare richiedevano manutenzione. Un piccolo stratagemma con il quale speravano di poter tornare a corte e stabilire un’influenza in quell’ambiente.
La missione di Ricci può essere interpretata come un viaggio, ovvero un’ascesa a Pechino, sede dell’imperatore. Raggiungere il centro dell’impero era il suo obiettivo. Voleva ottenere dall’imperatore il riconoscimento alla libertà d’evangelizzazione e, dal centro dell’impero, avviare un’opera missionaria diffusa su tutta la nazione. Pechino era intesa dai gesuiti come una nuova Roma, da cui poteva partire una grande opera missionaria. La conversione dell’imperatore era, a quel tempo, un obiettivo fuori discussione, ma lo diverrà in seguito. La Cina del tempo era governata dalla dinastia Ming (1368-1644), l’ultima di nazionalità Cinese. La dinastia precedente, i Yuan, era dei Mongoli (iniziata da Gengis Khan). Quella seguente, i Qing, conclusasi nel 1911, era dei Mancesi.
Matteo Ricci, oltre che missionario e umanista, era uno scienziato di grande valore: astronomo, geografo, musicista e matematico ‘euclideo’, esattamente come riferisce Battiato. Nel 1607 pubblicò a Pechino la traduzione cinese dei primi sei libri di Euclide, contenuti nel testo di Cristoforo Clavio, I 15 libri degli elementi di Euclide. Fu il testo fondamentale per l’introduzione della matematica occidentale in Cina. Ricci si avvalse della collaborazione del suo migliore discepolo ed amico, lo scienziato (e poi politico) Xu Guangqi, noto nelle fonti gesuitiche come il “dottor Paolo”. Paolo Xu ed altri tre alti funzionari convertitisi alla fede cristiana, furono chiamati le “colonne della cristianità cinese”. Il confuciano cristiano e “euclideo” Paolo Xu divenne un ministro molto importante, e fu tra gli uomini più vicini a Chongzhen, l’ultimo imperatore della dinastia dei Ming.
Il quadro nell’immagine in alto: L’alleanza culturale tra Matteo Ricci e Paolo Xu Guangqi