Tradurre senza tradire

Tradurre senza tradire

Il lavoro decennale di padre Giuseppe Parietti nello studio della lingua dei peul è diventato ora anche un poderoso e prezioso dizionario

 

Una vita dedicata al dialogo: con i popoli, le culture e le religioni dell’Estremo Nord del Camerun. Per più di quarant’anni, padre Giuseppe Parietti, 72 anni, missionario del Pime di origini bergamasche, si è calato completamente in questa terra di savana saheliana, a cominciare da ciò che è più essenziale per dialogare: la lingua. E nonostante le regioni settentrionali di questo Paese siano abitate da diversi popoli, tutti usano come idioma veicolare il fulfulde, ovvero uno dei dialetti parlati dai pastori musulmani peul (chiamati fulbé in Camerun) che sono presenti in tutta la vasta area del Sahel, dal Senegal sino al Sudan. E ovunque – seppur con qualche variante – portano con sé la loro cultura, la loro religione e, appunto, la loro lingua.

Padre Parietti, che è arrivato nell’Estremo Nord nel 1977, non si è limitato ad apprendere i rudimenti della lingua per la sopravvivenza quotidiana e la pastorale ordinaria, ma vi è andato così a fondo da giungere alla realizzazione di varie traduzioni: dal completamento, nel 1987, di un primo vocabolario realizzato dal padre Dominique Noye, deceduto prima di terminarlo, alla pubblicazione di un dizionario/indice che lo ampliava nel 1997, sino alla realizzazione di alcuni testi biblici. L’ultimo nato è un poderoso dizionario di 1.331 pagine, il Dictionnaire français-fulfulde et fulfulde-français (Dialecte peul du Diamaré, Cameroun), che è stato presentato lo scorso marzo a Maroua, capoluogo di questa regione a maggioranza musulmana. L’iniziativa si inseriva nel Terzo colloquio regionale sul dialogo interreligioso dedicato al tema del consolidamento della pace e dello sviluppo nell’Estremo Nord. Una regione che negli ultimi anni è stata presa di mira dagli attacchi dei terroristi nigeriani di Boko Haram, incuranti delle frontiere e portatori di morte, distruzione e sfollamento di migliaia di persone.

Non solo, la penetrazione di correnti islamiche più radicali ha messo in discussione la tradizionale convivenza pacifica delle popolazioni locali, che appartengono maggioritariamente alle confraternite sufi e sono in misura minore cristiani o seguaci delle religioni tradizionali. Anche per questo, la Casa dell’incontro di Maroua – un luogo di conoscenza e dialogo, che padre Giuseppe ha grandemente contribuito a creare insieme ad altri leader religiosi protestanti e musulmani – ha promosso una nuova occasione di riflessione su temi delicati come quello della pace, della convivenza e dello sviluppo in un contesto che, peraltro, resta tra i più poveri e arretrati del Camerun.

Anche quest’anno padre Giuseppe non poteva mancare all’incontro e non solo perché veniva presentato il suo dizionario, ma anche perché una buona parte del suo cuore è rimasta lì al Nord, anche se da tre anni si è trasferito nella capitale Yaoundé dove è assistente spirituale nel nuovo seminario del Pime, che ospita una ventina di giovani, provenienti da diversi Paesi africani.

«Ho iniziato ad avvicinarmi alla lingua fulfulde ancor prima di arrivare in Camerun – ci racconta padre Giuseppe dalla capitale camerunese -. Ero a Parigi per studiare il francese e ho saputo della possibilità di conoscere meglio la cultura e la lingua del Nord del Camerun a cui ero destinato. E così ho cominciato un percorso che, a quel tempo, non immaginavo mi avrebbe accompagnato per tutta la vita».
Prima a Guidiguis, con l’aiuto di un giovane fulbé del posto, e infine a Maroua, padre Giusep­pe non si è mai stancato di calarsi sempre più a fondo nel contesto locale, intessendo molte relazioni e promuovendo azioni di incontro, conoscenza e dialogo a tutti i livelli.

«Quando sono arrivato a Maroua nel dicembre 2000 – continua -, prima di sistemare la casa dove ho abitato con un confratello, sono stato ospite per un anno di una famiglia musulmana, in un quartiere popoloso di Maroua, a maggioranza fulbé. Con loro ho condiviso i gesti quotidiani più semplici, in una relazione di amicizia, rispetto reciproco e accettazione della differenza di fede. È stata un’occasione di arricchimento il riconoscere la sincerità della fede dell’altro e i segni del lavoro dello Spirito che ci ha preceduto. Li avevo conosciuti anni prima tramite un amico giapponese, che veniva lì per le sue ricerche sulla lingua e la cultura dei fulbé».

E proprio a questo amico, Paul Kazuhisa Eguchi, grande conoscitore del mondo dei peul, e a un altro studioso, padre Dominique Noye, missionario degli Oblati di Maria Immaco­lata (Omi) e linguista, è dedicato il dizionario di Parietti, che raccoglie e amplia il lavoro di entrambi. Al dizionario ha collaborato anche Henry Tourneux, autore di numerosi studi sulla lingua peul. È stato proprio quest’ultimo a illustrare l’importanza del lavoro di Parietti in occasione della presentazione dello scorso marzo: «Si tratta di un’opera considerevole preceduta da uno schema grammaticale e da un’ampia bibliografia. Il tutto è impreziosito dai magnifici disegni di Christian Seignobos».

«La parte francese-fulfulde – ha spiegato – è la più sviluppata: ha 785 pagine, contro le 485 della parte fulfulde-francese. Perché questa differenza di dimensioni? Padre Giuseppe ha dato la priorità a tutte le persone francofone che vogliono imparare la lingua, così come a tutti coloro che sono impegnati nel lavoro di traduzione. In questa parte si possono trovare esempi in fulfulde, con la loro traduzione francese. Padre Giuseppe ha avuto l’idea molto saggia di raggruppare alcuni insiemi di parole appartenenti allo stesso campo lessicale. Questo è molto utile, non solo per coloro la cui lingua madre non è il fulfulde, ma anche per gli stessi peul, che potranno a colpo sicuro scoprire parole della loro lingua che non conoscono».

Il lavoro ha richiesto lunghi anni, anche per le difficoltà tecnologiche dovute al fatto di risiedere in una regione molto remota e poco servita da tutti i punti di vista.
«Trovare il programma informatico giusto per organizzare scientificamente il database non è stato facile – ammette Parietti -. Verso il 2010 ho trovato una persona che mi ha molto aiutato. Poi, però, mi sono dovuto rivolgere alla Società internazionale di linguistica di Ndjamena, in Ciad, per ordinare tutta la parte relativa al fulfulde-francese».

In tutti questi anni, però, il missionario ha continuato anche il vasto lavoro di traduzione dei testi sacri cristiani. Si devono a lui, infatti, la versione in fulfulde dei libri deuterocanonici e del lezionario festivo; ha inoltre collaborato alla pubblicazione dell’intera Bibbia in questa lingua. «Anche questo è stato un lavoro molto lungo e impegnativo perché tutto il vocabolario religioso del fulfulde è tratto dall’islam. Si tratta sostanzialmente di parole arabe prese dalla tradizione musulmana e semplificate. Il termine Dio, ad esempio, in fulfulde è rimasto Allah, con o senza l’acca. E questo vale sia per i musulmani che per i cristiani. Anche noi in chiesa preghiamo e celebriamo, rivolgendoci ad Allah. È il contesto in cui la parola si inserisce che fa capire che non è più un concetto islamico, ma evangelico; è il contesto che conferisce il significato e il senso vero di una parola. Anche di Dio/Allah». MM

 

La bibbia poliglotta

Su circa 7 mila lingue parlate nel mondo, 3.700 non hanno ancora una traduzione dei testi sacri cristiani. L’intera Bibbia, infatti, è stata tradotta “solo” in 700 idiomi; più di 1.500 invece sono le versioni del Nuovo Testamento. Il dizionario di padre Parietti può dare un prezioso contributo anche in questo campo. Stampato in Italia, è disponibile presso la biblioteca e la libreria del Centro Pime di Milano: centropime@pimemilano.com