Quasi 25 milioni di persone in fuga a causa di eventi estremi e devastanti. Il Papa denuncia le responsabilità e invita alle buone pratiche
«L’ emergenza climatica è la principale crisi del nostro tempo e lo sfollamento è una delle sue conseguenze più devastanti. Intere popolazioni ne stanno già subendo le conseguenze, ma le persone vulnerabili che vivono in alcuni dei Paesi più fragili e colpiti da conflitti ne sono danneggiate in modo sproporzionato». È quanto ha affermato l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati lo scorso 22 aprile in occasione della Giornata della Terra. Giornata in cui anche Papa Francesco ha ricordato che «ci troviamo nel mezzo di un’emergenza», anche perché la crisi climatica minaccia non solo l’ambiente, ma i diritti umani fondamentali, causando spostamenti forzati di persone. «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche… e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità», ha scritto nella Laudato si’.
Attualmente, secondo il Global Report on Internal Displacement 2020 (Idmc), sarebbero 23,9 milioni le persone sfollate a causa dei cambiamenti climatici e per eventi devastanti come alluvioni, frane, incendi, siccità e uragani, ma anche per processi a lenta insorgenza come desertificazione, scarsità d’acqua, esaurimento delle risorse naturali, aumento delle temperature e innalzamento del livello dei mari. Sono un milione in più se si considerano anche le persone che fuggono da eventi geofisici come i terremoti e le eruzioni di vulcani. La situazione potrebbe drasticamente peggiorare in futuro. Si stima, infatti, che entro il 2050 circa 143 milioni di persone saranno coinvolte in spostamenti forzati e i più colpiti sono e saranno i gruppi più vulnerabili, come le donne e i bambini o le persone con disabilità.
Un esodo apocalittico a cui, attualmente, non si riesce neppure a dare un nome “ufficiale”: queste persone in fuga vengono definite indistintamente sfollati climatici o migranti ambientali. A volte, semplicemente eco-profughi. Ma, secondo l’Unhcr, non si può usare la definizione di “rifugiato” poiché la Convenzione di Ginevra del 1951 – ma anche il successivo Protocollo del 1967 – continuano ad attribuire questo specifico status solo a chi fugge da persecuzioni politiche, etniche e religiose. Peccato che il fenomeno delle migrazioni forzate sia cambiato notevolmente nel corso degli anni, assumendo proporzioni e complessità non riconducibili a una visione così ristretta. Non è solo una questione di forma, ma di sostanza. Questi migranti, infatti, non esistono per legge. Non hanno diritti, né protezione.
Secondo l’Idmc, se «la maggior parte dei nuovi sfollati innescati da conflitti e violenze nel 2019 sono stati registrati in Africa subsahariana, Nordafrica e Medio Oriente, con un numero senza precedenti in Burkina Faso e aumenti significativi in Mali e Libia, la maggior parte dei nuovi sfollamenti innescati da disastri naturali si sono contati in Asia orientale, Pacifico e Asia meridionale. Piogge monsoniche, inondazioni e tempeste tropicali colpiscono aree altamente esposte che ospitano milioni di persone».
Le due cose, però, spesso vanno insieme. Basti pensare alla vasta regione del Sahel, dove si intrecciano violenze terroristiche, conflitti interetnici e cambiamenti climatici che hanno provocato l’esodo di milioni di persone in una regione vastissima, che comprende Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun e Ciad.
Le stesse persone che si spostano, tuttavia, non sempre sono consapevoli della complessità delle cause che le forzano a partire, specialmente se si riferiscono ai cambiamenti climatici, e spesso riconducono le loro motivazioni al desiderio di una vita migliore o di un lavoro ben retribuito. Anche per questo è importante che vengano riconosciuti e supportati adeguatamente, sia materialmente che spiritualmente.
Per questa ragione, la Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per lo sviluppo integrale della Santa Sede ha messo a punto un documento specifico dedicato agli Orientamenti pastorali sugli sfollati climatici, pubblicato lo scorso 30 marzo. Un ulteriore passo avanti lungo il percorso intrapreso già nel 2013 con la pubblicazione degli Orientamenti pastorali per i rifugiati e proseguito nel 2020 con quello per gli sfollati interni.
Secondo Papa Francesco, che firma la prefazione, «il fatto che le persone siano costrette a migrare perché l’ambiente in cui vivono non è più abitabile, ci potrebbe sembrare un processo naturale, qualcosa di inevitabile. Eppure, il deterioramento del clima è molto spesso il risultato di scelte sbagliate e di attività distruttive, il frutto dell’egoismo e dell’abbandono, che mettono l’umanità in conflitto con il Creato, la nostra casa comune».
Francesco parla di «attività distruttive», ovvero sottolinea le responsabilità dell’uomo, il suo impatto spesso nefasto sulla natura, l’atteggiamento predatorio nei confronti delle risorse. Ma chiama anche ad agire per proporre alternative possibili, azioni di prevenzione, rafforzamento della “resilienza climatica” delle popolazioni e accompagnamento degli sfollati ambientali. E, in effetti, sono moltissime le azioni portate avanti in ogni parte del mondo: dal Sudafrica, dove il Catholic Relief Service (Crs) sostiene i piccoli agricoltori, all’Amazzonia, dove la Rete ecclesiale panamazzonica (Repam) sta realizzando, in collaborazione con Verbo Filmes, un nuovo capitolo della serie di documentari “Querida Amazonía”: “Il sogno ecologico”; dall’India, dove i salesiani stanno realizzando un progetto di energie rinnovabili, agli Stati Uniti dove le suore domenicane hanno collaborato con la Morgan Stanley Bank nella creazione di un Climate Solutions Fund per contrastare il degrado ecologico e lo sfollamento di persone.
Moltissimi altri progetti vengono portati avanti da organismi cattolici in ogni parte del mondo (Europa inclusa), fornendo così una testimonianza concreta della possibilità di impegnarsi come singoli e gruppi – o per promuovere azioni di advocacy nei confronti delle istituzioni – al fine di contrastare il degrado ambientale e le conseguenti migrazioni forzate. E per andare sempre più in quella logica del “noi”, che Papa Francesco invoca anche nel Messaggio per la prossima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 26 settembre. «Oggi la Chiesa è chiamata a uscire per le strade delle periferie esistenziali per curare chi è ferito e cercare chi è smarrito, senza pregiudizi o paure… pronta ad allargare la sua tenda per accogliere tutti. Tra gli abitanti delle periferie troveremo tanti migranti e rifugiati, sfollati e vittime di tratta… Se lo vogliamo, possiamo trasformare le frontiere in luoghi privilegiati di incontri, dove può fiorire il miracolo di un noi sempre più grande».