Abbattere ogni tipo di confine per affrontare insieme un impegno di cura e custodia del Creato. Ne va della sopravvivenza dell’umanità. L’analisi di Sandro Calvani che mette al centro la dimensione del noi.
Cita spesso Papa Francesco e in particolare la sua enciclica Fratelli tutti. E in effetti, a sottendere l’ampia riflessione di Sandro Calvani – ex direttore di vari organismi delle Nazioni Unite e della Caritas, attualmente residente a Bangkok (Thailandia) dove è consigliere speciale presso la Mae Fah Luang Foundation e docente universitario di politiche per lo sviluppo sostenibile e gli affari umanitari – c’è un’ispirazione che attraversa i secoli, un sogno di vita felice che è anche impegno, coerenza e responsabilità. «Fratelli tutti – scrive nel suo recente libro “Senza false frontiere. Umanesimo e voglia di fratellanza” (con L. Jahier e G. Lattarulo, Ed. Ave, pp. 538, 24 euro) – non lascia spazio a un’interpretazione devozionale del Vangelo e non vuole diventare un’altra pagina di catechesi. Va molto più in profondità: l’enciclica è un’opera di discernimento spirituale. Essa esige un cambio di paradigma nella nostra vita».
Dottor Calvani, nel suo libro, lei parla di voglia irresistibile di fratellanza. Solo Papa Francesco, tuttavia, o pochi altri, sembrano sinceramente interessati a costruire un mondo più pacifico e solidale, incentrato sul “noi”, invece che sull’ “io”…
«Questa impressione negativa della voglia di fratellanza che cresce nel mondo è distante dalla verità. Si tratta di una deformazione dell’evidenza dei fatti creata dai media che informano con enfasi sulle brutte notizie. Per esempio, insieme a ogni missionario o missionaria, o operatore umanitario ucciso, ce ne sono migliaia nel mondo che rafforzano la solidarietà e fanno crescere reti di fratellanza. In Paesi vicini a ogni guerra fratricida ci sono decine di popoli che sperimentano la pace e la cooperazione. Centinaia di milioni di giovani e adulti nel mondo hanno capito che l’unico futuro sostenibile si basa sulla condivisione dei beni comuni globali superando ogni frontiera».
Come è possibile una terza via tra coloro che dividono il mondo in Paesi e chi vorrebbe costruire un pianeta dove tutti sono uguali e con gli stessi diritti? Non è un po’ un’utopia?
«La fratellanza e l’uguaglianza, affermate 75 anni fa dall’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani, sono tutt’altro che un’utopia. Non sono nemmeno una nobile aspirazione buonista. Sono in realtà le due fondazioni essenziali di un futuro planetario sostenibile. Tutto quel che conta per la giustizia, la prosperità e la felicità di tutti – come acqua, cibo, lavoro, salute, educazione, energia, risorse ambientali – è profondamente interdipendente e deve essere governato senza privilegi per l’uno o l’altro popolo. Dunque, la fratellanza e l’abbassamento delle frontiere sono un paradigma ineludibile di cura e custodia del Creato per la sopravvivenza dell’umanità».
Oggi vediamo che, di fronte alla crisi afghana, tutti si sono affrettati a costruire nuove barriere: Iran, Turchia, Grecia… In anni recenti, molti hanno innalzato steccati per fermare le migrazioni. Non le sembra che prevalgano i costruttori di muri rispetto a quelli di ponti?
«I costruttori di muri e frontiere alte sono sempre esistiti. Da Caino e Abele a Romolo e Remo, dal muro di Berlino fino a quello di Trump sino alle frontiere chiuse dei talebani abbiamo visto storie di fratelli che uccidono per intolleranza delle diversità. Non ha mai funzionato a lungo termine, nemmeno una sola volta. Presto o tardi i muri invalicabili sono crollati riportando indietro quelli che vi erano chiusi dentro. Le aree del mondo con maggior benessere e felicità diffusa sono i Paesi aperti che puntano sull’integrazione delle differenze e promuovono educazione e sistemi socio-economici inclusivi. Il più grande esperimento al mondo di abbassamento delle frontiere, o di costruzione di ponti tra storie diverse, è l’Unione Europea, che da un passato di guerre frequenti è divenuta la prima economia al mondo, grazie alla cancellazione di centinaia di confini tra 27 nazioni».
Le grandi sfide globali, come appunto quella delle migrazioni ma anche quella del cambiamento climatico, non dovrebbero contribuire ad abbattere molte frontiere?
«Sì, sul lungo periodo la sfida del cambiamento climatico e delle migrazioni contribuirà ad abbassare le frontiere. Nell’immediato e nel corto periodo, invece, queste due trasformazioni poco comprese acuiscono la paura dei diversi, soprattutto da parte di chi non li conosce e di chi ha un basso livello di educazione multiculturale; sono vulnerabilità che lasciano credere a molte persone che esistano popoli di serie A e popoli di serie C, solo perché hanno pelle o religione diversa».
Lei si è occupato anche di emergenze sanitarie. L’attuale pandemia di Covid-19 ha colpito in modo drammatico chi era più vulnerabile accentuando le diseguaglianze. Come reagire?
«Le pandemie, come le altre malattie infettive, i disastri naturali e le guerre causano molte più vittime tra coloro che non hanno difese. Per la stessa ragione si dovrebbero fare più sforzi per indirizzare le misure di prevenzione e di protezione verso chi è più a rischio. Inoltre, nel caso delle pandemie, distribuire equamente vaccini e terapie serve anche a difendere efficacemente i Paesi ricchi. In pratica, si tratterebbe di una “correzione” da un egoismo stupido e inefficace a un egoismo intelligente che raggiunge i risultati desiderati. Infatti, siamo tutti a rischio finché non siamo tutti al sicuro».
Che cosa significa per lei sviluppo sostenibile?
«In pratica sono tutte quelle forme di progresso e prosperità inclusiva che fermano lo sfruttamento ingiusto e sregolato dei beni comuni globali e che promuovono l’integrazione osmotica dell’umanità con il resto dei sistemi viventi. La prima condizione è il mantenimento o rafforzamento della generatività del genere umano, cioè il mantenimento di condizioni atte alla vita felice delle prossime generazioni».
Come conciliare l’emergere di tanti nazionalismi e populismi con l’idea di un mondo multipolare abitato sempre più da cittadini cosmopoliti?
«Tutte le forme di mondialità e di informazione veritiera possono aiutare a far capire a chi non conosce e non apprezza le differenze che esse sono condizioni essenziali della prosperità dell’umanità. Di fronte a sfide globali come il cambiamento climatico, le pandemie, la voglia dei popoli di uscire dalla povertà e di vita degna, frammentare gli sforzi, dividersi in mille volontà e priorità diverse e contrastanti è un modo per rischiare il suicidio del genere umano».
La diversità può ridurre le distanze? O accentua solo le divisioni?
«Nel mondo ci sono migliaia di popoli e centinaia di religioni e culture diverse. Riconoscerle positivamente e promuovere il dialogo e la collaborazione fra loro fa sciogliere le paure e le divisioni come neve al sole».
È anche una questione di mancanza di conoscenza del passato e delle lezioni della storia? Del chronos che prevale sul kairos?
«Certamente. Stiamo più attenti al nostro orologio al polso, al nostro calendario di impegni di quanto prestiamo attenzione ai tempi che cambiano, al nostro contributo essenziale al cambiamento d’epoca e a cambiare il nostro stile di vita, non per arrivare più puntuali, ma per vivere più attenti, responsabili e felici».
Che cosa ci possono dire oggi i popoli indigeni che esistevano già molto prima della divisione del mondo in nazioni?«Tutti i popoli indigeni, riconoscendo il loro essere piccoli, hanno sempre predicato e praticato un grande rispetto e tolleranza per gli altri e soprattutto per la Madre Terra che riconoscono come l´humus generatore di homo e humanitas, e per le leggi comuni globali superiori a quelle locali».
In una società spesso avvelenata da discorsi di odio e divisivi, Papa Francesco ci ha spesso sollecitati a compiere una “rivoluzione della tenerezza”. Che cosa le suggerisce e ci suggerisce?
«Quando ci sarà – speriamo presto – una vera Costituzione per tutta l´umanità, sancita da tutti i Parlamenti del mondo, insegnata nelle scuole a tutti i bambini, essa affermerà che l´umanità è fondata sulla tenerezza, non sul lavoro, sulla libertà o sulla difesa della patria, come affermano invece tante Costituzioni nazionali». MM