Alla presenza di mons. Mario Pasqualotto, missionario del Pime e vescovo ausiliare emerito di Manaus, si inaugura oggi una nuova comunità di recupero per tossicodipendenti nel cuore dell’Amazonia. Il vescovo: “Realizziamo il sogno di padre Gino Malvestio. Un segno di resistenza nella zona controllata dal narcotraffico”
Nemmeno una pandemia mondiale, una situazione economica sempre più grave, la devastazione degli incendi che hanno colpito l’Amazzonia e la polarizzazione interna al Paese sono riusciti a scalfire il radicato problema della droga in Brasile. Anzi. Il narcotraffico e la tossicodipendenza nel più vasto e popoloso Paese sudamericano continuano ad essere tra le questioni più impellenti da affrontare. Certamente lo sono per i volontari e gli operatori delle tante Fazenda da Esperança sparse sul territorio brasiliano che tutti i giorni si occupano “del recupero di persone che cercano la libertà dalle loro dipendenze”, come si legge sul sito.
Proprio oggi una nuova Fazenda viene inaugurata ufficialmente a Maués, nello stato dell’Amazonas (in piena foresta amazzonica) in quella diocesi di Parintins dove tanti missionari del Pime hanno svolto e ancora oggi svolgono la loro missione. Per questo abbiamo chiesto a mons. Mario Pasqualotto – missionario del Pime e vescovo ausiliare emerito di Manaus, che da sempre segue il cammino della Fazenda da Esperança e a Maues ha svolto anche alcuni anni del suo ministero, di spiegarci il senso di questa esperienza. “Ormai sono oltre 150 le fazendas distribuite in 24 nazioni – racconta -. Quella che oggi viene inaugurata a Maués è la concretizzazione di un sogno: il sogno di padre Gino Malvestio, missionario del Pime e vescovo di Parintins dal 1994 al 1997. Voleva fortemente una fazenda in questa zona ma non ci fu mai l’occasione per portare a termine il progetto. Oggi, dopo molti sforzi ci siamo riusciti”.
Fu mons. Pasqualotto a volere la grande Fazenda di Manaus nel 2001 (ormai vent’anni fa) e da allora ha sempre lavorato al fianco dei tossicodipendenti: “In quegli anni lo slogan era: ‘Vita sì, droga no’. Come Chiesa, capimmo che serviva un segno concreto di resistenza anche nelle zone dell’Amazonia dove il narcotraffico e la coltivazione di droga pregiudicano la vita di molti. Decidemmo allora di portare a Manaus una comunità”. Da quel momento, nella diocesi sono sorte 18 strutture alle quali si aggiungono quella di Maués e una a Tefé che verrà inaugurata prossimamente.
“La casa che inauguriamo oggi a Maués può ospitare fino a 26 persone ma in futuro potrebbe anche essere ampliata – spiega Pasqualotto -. È una comunità lontana dai centri abitati, volutamente isolata. Una scelta obbligata quando hai a che fare con i tossicodipendenti che sono spesso vittime di crisi di astinenza: se fossimo vicini alla città molti avrebbero la tentazione di andarsene”. Questa lontananza dai centri urbani ha però complicato notevolmente l’opera di realizzazione: “È stata davvero molto dura trasportare il materiale fin qui perché la fazenda è al di là del fiume e ci vogliono 15 minuti di barca per arrivarci. Anche portare la corrente elettrica non è stato semplice: siamo in piena foresta e basta che cada un albero per rimanere giorni interi senza luce”.
Prima di essere nominato vescovo ausiliare, mons. Pasqualotto trascorse 4 anni (dal 1995 al 1999) proprio a Maués in qualità di parroco. Ne conosce bene la gente e le criticità: “Il centro di smercio della droga, quella almeno che proviene dalla Colombia, dalla Bolivia e dal Perù, è a Manaus, dove vivo ora, ma anche le città circostanti sono influenzate dal fenomeno. A Maués, in particolare, è molto diffusa la coltivazione della marijuana. Nel mio primo anno da parroco ci furono 4 morti in un giorno a causa dello spaccio di droga. Ricordo che una volta, parlando di questo tema con un medico dell’esercito mi disse: ‘Padre Mario, se deve denunciare, denunci sempre anonimi perché non si sa mai’. I trafficanti sono quasi un secondo governo autonomo in questo Paese”.
Come tutte le comunità di recupero, anche la Fazenda da Esperança stabilisce delle regole precise da rispettare e dei princìpi a cui rifarsi. “La nostra è una comunità che si fonda sulla spiritualità, sull’essere famiglia e sul lavoro terapeutico. Per noi è necessario prima di tutto segnare una linea di demarcazione netta con il loro passato: devono essere in grado di perdonare gli altri e perdonare se stessi per le loro colpe. Poi comincia la fase della spiritualità, una spiritualità fraterna”.
Un lento percorso di rinascita e discernimento che può avvenire solo se supportati dal gruppo. Ma che avviene anche in tutte quelle esperienze extra-comunitarie che in fazenda sono tutt’altro che rare, come racconta Pasqualotto: “L’altro giorno mi ha chiamato Rafael, il responsabile della comunità di Maués, per raccontarmi questo bellissimo episodio di vita quotidiana. Stava tornando dalla città alla fazenda su una strada che normalmente non percorre, quando ha visto un uomo steso per terra visibilmente tumefatto e certamente ubriaco. Con l’aiuto di alcuni ragazzi l’hanno caricato sulla macchina e l’hanno portato in comunità. Dopo averlo accolto e fatto riposare tutta la notte si sono presentati a lui e hanno pregato insieme. Raimar – questo il suo nome – ha raccontato che quello era il giorno del suo 42esimo compleanno e come regalo ha chiesto di poter rimanere nella fazenda per disintossicarsi. ‘Dio ci ha guidati in quella strada verso Raimar proprio il giorno del suo compleanno per celebrare insieme la sua nuova vita’, mi ha scritto Rafael in un messaggio”.