Il governo ha venduto solo 5 dei 92 blocchi di esplorazione e produzione nella peggiore asta petrolifera dall’apertura del mercato. Le organizzazioni ambientaliste: “Il mondo non è più disposto a tollerare i danni del greggio”
Si sa, secondo le leggi del mercato, il prezzo di un bene si stabilisce in base ad un delicato equilibrio tra domanda e offerta con una serie di variabili che ne influenzano l’andamento finanziario. Capita, ad esempio, che beni e servizi che fino a poco tempo prima erano estremamente richiesti, perdano nel giro di pochissimo il loro appeal sugli acquirenti e, a catena, il loro valore di mercato e l’interesse da parte degli investitori. Semplificando, è quello che sta succedendo proprio in questi mesi al settore petrolifero globale.
È di pochi giorni fa la notizia che in Brasile si è conclusa la peggiore asta di sempre da quando nel 1999 è stato aperto il mercato del petrolio nello Stato sudamericano. Venduti solo 5 dei 92 blocchi di esplorazione e produzione messi all’asta dal governo nella competizione che ha fatto registrare il minor numero di partecipanti e le entrate più basse di tutti i tempi nel paese carioca per quanto riguarda l’industria estrattiva. Un risultato prevedibile secondo gli esperti, figlio di un trend e di una richiesta di mercato che sta privilegiando sempre più le energie rinnovabili al greggio. I giacimenti petroliferi, un tempo visti come vere e proprie miniere di ricchezza, cominciano ad essere considerati come un azzardo di mercato, come un investimento ad alto rischio.
Complici anche le recenti manifestazioni ambientaliste nella regione del Rio Grande do Norte – vicina ad aree sensibili per la biodiversità brasiliana -, e il crescente rischio legato agli investimenti nel settore dell’oro nero, l’asta di giovedì è stato l’ennesimo segnale di un cambiamento in corso. “Siamo di fronte ad un chiaro messaggio rivolto al governo brasiliano e a tutti i governi del mondo – ha affermato Ilan Zugman, direttore in America Latina di 350.org, organizzazione ambientalista internazionale che si occupa di sensibilizzare la popolazione sui rischi del cambiamento climatico -. Ormai è chiaro: la società civile non è più disposta a tollerare i danni che il petrolio e i gas hanno prodotto al nostro ecosistema”.
Negli ultimi anni diverse società petrolifere (Total, Eni, Shell, ecc) hanno annunciato l’intenzione di investire fortemente sull’energia pulita in un’ottica di transizione ecologica e di sostenibilità ambientale. Di pari passo con l’Agenda 2030 dettata dalle Nazioni Unite per mettere in atto urgenti misure contro il cambiamento climatico e per la tutela dell’ambiente, anche gli investitori delle compagnie petrolifere hanno cominciato a muovere i primi passi in questa direzione. Nel recente report dell’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), un’organizzazione che raccoglie alcuni tra i maggiori investitori delle compagnie petrolifere mondiali, viene tracciata la strada per accelerare la transizione ecologica: dalla diversificazione delle aree di business allo studio delle fonti rinnovabili, dallo sviluppo di tecnologie per ridurre le emissioni ai piani di sensibilizzazione. Un cammino tracciato verso la cosiddetta “Carbon neutrality”, obiettivo dichiarato per arrivare alla neutralità climatica e per cercare di risolvere l’emergenza ambientale.