L’arcivescovo peruviano di Trujillo monsignor Miguel Cabrejos, presidente del Celam: «La pandemia ci ha detto che oggi in America Latina c’è ancora più bisogno di annunciare la parola del Vangelo»
Quando nel marzo 2020 l’America Latina ha cominciato a fare i conti pesantemente con la pandemia, monsignor Miguel Cabrejos, arcivescovo di Trujillo in Perù e presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), aveva già messo in moto il processo di rinnovamento degli statuti e la riforma pastorale e finanziario-amministrativa di questo organismo composto dalle 22 Conferenze episcopali dell’America Latina e dei Caraibi. Insieme ai suoi colleghi vescovi non ha pensato neppure per un momento di interrompere questo cammino: circa 200 riunioni virtuali tenute nell’arco di un anno hanno dato loro il coraggio di confermare l’Assemblea ecclesiale che si tiene alla fine di questo mese in Messico.
Monsignor Cabrejos, l’Assemblea ecclesiale si svolge alla luce della Conferenza di Aparecida del 2007, dalla quale – come ha detto il Papa – c’è ancora molto da imparare. Lei come la vede?
«Ad Aparecida ci fu un grande entusiasmo e la Missione continentale fu lanciata con grande slancio ed enfasi. Però è vero: gradualmente questa spinta si è affievolita. Credo che il grande errore metodologico sia quello di continuare a ragionare nella Chiesa per “grandi eventi”: iniziano, raggiungono il loro apice e poi cominciano a tramontare. Invece l’evangelizzazione è un processo continuo che, come tale, può comprendere anche degli eventi, che sono però definiti in un tempo. La missione – ci dice invece Papa Francesco – è un processo: ha un inizio, ma non ha una fine. E oggi l’evangelizzazione deve muoversi su due grandi vie: lo sviluppo umano integrale e l’idea di una Chiesa sinodale in movimento».
Che cosa sta cambiando nelle Chiese dell’America Latina?
«La novità è quella che chiamiamo “il grande ascolto”. Siamo tutti il popolo di Dio, l’impegno è per tutti noi, con Gesù Cristo come centro. Il grande ascolto è un processo per capire che cosa pensa il popolo di Dio in tutti i campi: sociale, ecologico, culturale, ecclesiale. All’Assemblea dialogheremo su questo per vedere quali sfide urgenti dobbiamo affrontare oggi in America Latina. Se non ascoltiamo il grido della gente, se non sappiamo che cosa pensa e che cosa sente, come possiamo sviluppare programmi pastorali? Come Chiesa saremo lì e parteciperemo tutti. E questo sarà un punto di svolta importante».
Questa esperienza giunge dopo il cammino del Sinodo per l’Amazzonia, tenuto nel 2019 e preceduto anche in quel caso da un’ampia consultazione.
«Al termine di quel percorso è nata la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia, che è un’altra realtà senza precedenti: un organismo composto non solo da vescovi, ma anche da rappresentanti dei religiosi, dei laici e delle stesse popolazioni indigene. È un cammino verso l’ecclesialità: non i vescovi da soli o i laici da soli, ma tutti. Non solo sedersi e guardare le cose accadere e non essere coinvolti in nulla. Il cambiamento metodologico è molto grande».
Dall’esterno è stato osservato che in America Latina non tutte le Conferenze episcopali hanno risposto nello stesso modo a questo appello. Lei che cosa ne pensa?
«È vero, le risposte sono state disparate, ma tutti i Paesi sono stati coinvolti. In Perù, per esempio, siamo partiti in ritardo ma abbiamo lavorato duramente: ad agosto eravamo passati al primo posto per numero di risposte inviate, seguiti dall’Argentina e dal Brasile. C’era chi non voleva tenere l’iniziativa a causa della pandemia: proponeva di aspettare che passasse per potersi incontrare di persona. Ma avremmo potuto aspettare cinque o sei anni? No. Proprio in questo momento di pandemia la Chiesa deve essere presente e vicina ai fedeli; e anche loro devono contribuire al processo di evangelizzazione».
In ottobre è iniziata anche la fase diocesana del percorso di due anni sulla sinodalità voluto da Papa Francesco in vista del Sinodo del 2023. Che rapporto c’è con l’Assemblea ecclesiale?
«Sono due cammini che non si sovrappongono, ma si rafforzano a vicenda. Questa domanda è venuta fuori molte volte al Celam. L’Assemblea ha un obiettivo molto preciso – Aparecida, memoria e sfide – e un metodo. L’importante è che questo metodo serva alla sinodalità che il Papa vuole attuare in tutta la Chiesa. Infatti, siamo stati invitati da altre regioni a condividere il nostro metodo di lavoro».
Ci sarà un documento alla fine dell’Assemblea ecclesiale, come avviene di solito al termine delle assemblee dei vescovi?
«Il risultato dell’Assemblea sarà una grande Lettera al popolo di Dio con linee ispiratrici di ri-evangelizzazione che ogni Conferenza episcopale potrà fare proprie e che sarà poi presentata in un’assemblea speciale dell’episcopato latinoamericano e avrà quindi carattere vincolante. Non si tratta solo di tenere l’Assemblea ecclesiale, iniziarla e concluderla. Si tratta di avviare un processo che non muore quando finisce l’incontro: l’ascolto del popolo di Dio dovrà essere costante».
Quali frutti vorrebbe che l’Assemblea portasse con sé?
«Vogliamo rispondere all’attesa espressa dal Papa. Con Medellin, il Celam ha messo in pratica il Concilio Vaticano II. Ora, con l’Assemblea ecclesiale, vogliamo mettere in pratica il progetto di evangelizzazione pastorale che Papa Francesco ha delineato nell’Evangelii Gaudium, i suoi sogni profetici. Speriamo di riuscirci». MM
Silvina Premat
LA SINODALITA’
Il tema della sinodalità sarà al centro del Sinodo dei vescovi del 2023, che di fatto è già iniziato. Papa Francesco ha voluto infatti che fosse preceduto da una fase di ascolto su come vivere insieme la Chiesa, aperta ufficialmente il 10 ottobre. In ogni diocesi del mondo ora tutti i fedeli saranno chiamati a partecipare a questa riflessione.
Per info: www. synod.va