In Brasile da 23 anni, padre Ignazio Lastrico durante i mesi più duri della pandemia ha prestato servizio nell’ospedale di Santana al fianco dei malati gravi: «In mezzo al dolore ho scoperto molte luci», racconta
«Dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior». Lungo tutta la nostra chiacchierata di oltre un’ora cita più volte questi versi tratti dalla famosissima canzone “Via del Campo” di Fabrizio De André. «Mi sembra che questa frase riassuma bene l’ultimo anno profondamente segnato dalla pandemia che abbiamo vissuto non solo in Brasile, dove vivo, ma in tutto il mondo».
Padre Ignazio Lastrico, sacerdote del Pime in America Latina da 23 anni, cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno dopo la tremenda prova del Coronavirus che ha travolto la sua comunità di Santana nello Stato di Amapá, parrocchia di 70 mila abitanti alla foce del Rio delle Amazzoni: «Il 2020 è stato uno degli anni più sfidanti della mia vita – racconta padre Ignazio -. Cristo si è fatto vivo nelle debolezze di ognuno, regalandoci due strumenti importanti per affrontare la pandemia: l’intelligenza e l’affetto verso il prossimo. Ecco cosa intendo quando, citando De André, dico che dal letame nascono i fiori».
La regione amazzonica dell’Amapá è stata una delle più colpite dalla prima ondata pandemica in Brasile. Nel maggio del 2020 il virus decimava intere famiglie e costringeva le persone nelle quattro mura domestiche: «Amici e persone care morivano a decine intorno a me – rivela il religioso -. Non sapevo come reagire, sentivo di essere impotente di fronte a questo virus e la prima reazione fu quella di barricarmi in casa e di chiudere la parrocchia». Poi la svolta: padre Ignazio viene a sapere che a Madrid un sacerdote aveva lasciato il suo ruolo di docente accademico per dedicarsi interamente alla visita dei malati in ospedale: «Ho capito che non potevo starmene chiuso in casa mentre la gente là fuori moriva. Così ho deciso di mettermi a disposizione dell’ospedale della mia città».
Per un intero anno padre Lastrico ha prestato servizio in corsia al fianco dei più sofferenti e delle vite che lentamente si spegnevano.
«Il giorno in cui ho iniziato la direttrice dell’ospedale mi ha detto: “Padre, ma lei lo sa a cosa sta andando incontro?”. Spontaneamente le ho risposto: “Lei farebbe la stessa cosa per i suoi figli”. Ecco, in quel momento ho capito davvero che la mia comunità era per me un figlio da accudire nel momento del bisogno». Una sofferenza enorme quella che padre Ignazio si è trovato di fronte, sia tra i letti della terapia intensiva, sia quella consumata quotidianamente nelle case dei suoi parrocchiani. Ma c’era qualcosa che lo animava e che lo spingeva ad andare avanti con fiducia: «Esperienze come quella del Covid-19 ti permettono di sperimentare come nelle burrasche ci sia bisogno di osservare le stelle per orientarsi, proprio come fanno i marinai in mezzo al mare. Abbiamo bisogno di luci che ci guidano e alle quali indirizzare lo sguardo. Io ne ho scorte parecchie in quest’ultimo anno».
Una di queste è stata proprio tra le corsie ospedaliere dei pazienti Covid: «Nell’aprile scorso mi trovavo in ospedale e, quasi per caso, ho incrociato lo sguardo di un uomo attaccato all’ossigeno. Mi sono avvicinato a lui e l’ho riconosciuto: era uno dei miei parrocchiani. “Padre, nonostante tutto questo dolore è un giorno meraviglioso anche grazie alla sua presenza qui”, mi ha detto a fatica. Sono state le ultime parole che ha pronunciato: pochi minuti dopo è stato intubato ed è morto».
Padre Ignazio è in Brasile dal 1998. Ventitré lunghi anni in cui ha girato il Paese tra Amazzonia e favelas al servizio dei più bisognosi e delle situazioni di fragilità, sempre alla ricerca di una buona stella da seguire: «Un’altra luce che mi ha guidato nel pieno della tempesta pandemica è stata la grande solidarietà che ho visto in chi stava intorno a me – ricorda -. A maggio 2020 vedevo grande sconforto tra i dottori e gli infermieri in ospedale: faticavano ad arginare la violenza del virus», racconta padre Ignazio. «Allora ho pensato di metterli in contatto con un medico italiano il quale non solo si è gentilmente prestato a fare una conferenza via Zoom con il personale ospedaliero brasiliano, ma ha anche fatto partire una raccolta fondi per aiutare l’ospedale di Santana». Grazie alla somma raccolta, il religioso e i suoi parrocchiani hanno rifornito il policlinico di tutti quei materiali che durante la pandemia scarseggiavano tra le corsie della rianimazione.
Il filo diretto con l’Italia ha permesso al missionario di venire a conoscenza di un’altra bella iniziativa che ha provato a replicare in Brasile: «Avevo sentito che a Busto Arsizio alcune pasticcerie regalavano le brioches agli infermieri e al personale ospedaliero – ricorda -. Mi sono detto: perché non farlo anche noi? Così, con trenta famiglie della mia parrocchia per tre mesi abbiamo preparato le merende per gli infermieri». Un gesto semplice che ha colpito profondamente le tante persone impegnate a Santana nella lotta al virus: «Dall’ospedale hanno capito che non erano soli in quel momento difficile, ma che tutta la comunità gli era accanto nonostante il distanziamento sociale». «Una delle stelle più brillanti che mi è capitato di scorgere è stata però la testimonianza di una madre che frequenta la mia parrocchia e che conosco ormai da molti anni».
Padre Ignazio si trovava in ospedale quando vide la donna bardata di tutto punto e le chiese il motivo della sua presenza lì. «Mi rispose che era venuta a trovare suo figlio ricoverato in terapia intensiva e che, da lì a poco, sarebbe andata in camera mortuaria perché il marito era appena deceduto. La chiamai il giorno dopo per darle conforto e mi disse: “Padre, nella vita passa tutto e passerà anche questa pandemia. Ciò che non passerà mai è l’amore di Dio nei miei confronti”. Come si fa a non vedere la grandezza in testimonianze come questa?».
Ma il lavoro di padre Ignazio non si è limitato solo alla vicinanza ospedaliera.
Particolarmente feconda è stata l’attività portata avanti nella parrocchia con le madri dei ragazzi carcerati. «Un giorno la mamma di un ragazzo che aveva commesso un omicidio mi disse: “Quando accadono queste cose orribili si pensa sempre alla famiglia delle vittime, ed è giusto che sia così. Ma ora mi rendo conto che anche noi siamo lasciati soli e veniamo stigmatizzati per le colpe dei nostri figli”. Spontaneamente ho pensato che sarebbe stato utile creare un gruppo di donne che si aiutassero a vicenda e condividessero le difficoltà». Stando al fianco di queste donne, padre Ignazio ha avuto modo di ascoltare i loro pensieri e le loro preoccupazioni. «Esprimono tutte lo stesso concetto: “Siamo detenute insieme ai nostri figli e siamo giudicate come i nostri figli”. Avere un gruppo di supporto come questo le ha aiutate a non sentirsi sole in questa prova e a condividere il peso della sofferenza».
Ora padre Ignazio si appresta ad affrontare una nuova avventura: andrà a vivere nella periferia di San Paolo, presso la parrocchia di San Francesco Saverio. Tutt’altra realtà rispetto all’amazzonica Santana: «Non so ancora cosa mi attenderà in questa nuova tappa – rivela -. L’augurio che faccio a me stesso è quello di continuare a farmi coinvolgere, di continuare a essere curioso come lo sono stato fino ad ora. Perché è questa curiosità che ti porta a guardare in alto, oltre le nubi, e a vedere le stelle».