Sarr, il migrante che vuole diventare presidente a Dakar

Sarr, il migrante che vuole diventare presidente a Dakar

Ex raccoglitore di pomodori in Puglia oggi a 51 anni è un imprenditore nella Bergamasca: «La gente in Senegal è stanca e vuole cambiare, sogno un futuro migliore per il mio Paese»

 

«Insieme siamo qualcosa di grande. Abbiamo la forza e l’attitudine per far crescere il nostro Paese. E io voglio dedicare tutto me stesso alla guida di questo cambiamento». È la missione di Mbacke Sarr: 51 anni, ex raccoglitore di pomodori in Puglia, oggi residente e imprenditore nella Bergamasca, che si è candidato al ruolo di presidente del Senegal nelle elezioni che si terranno nel 2024. «Come tanti miei connazionali ho vissuto sulla mia pelle l’emigrazione. Questi vent’anni in Italia mi hanno fatto crescere molto. E, allo stesso tempo, hanno fatto maturare in me la convinzione che i nostri giovani abbiamo il diritto di poter restare e lavorare nel loro Paese d’origine».

Sarr ha annunciato la sua candidatura ad ottobre. «Dal Senegal ho ricevuto tanti attestati di stima. La gente è stanca e vuole cambiare. Il mio Paese ha tante potenzialità, ma l’attuale classe dirigente punta solo ad arricchirsi. Ora al governo c’è Macky Sall: nel 2024 vorrebbe il terzo mandato, anche se questo è anticostituzionale. Sogno un futuro migliore per il Senegal. I miei obiettivi? Valorizzare le risorse, tanto minerarie quanto turistiche, modernizzare le infrastrutture, che sono obsolete o addirittura assenti, combattere la dilagante corruzione e perseguire l’autosufficienza alimentare».

Il tutto con un partito nuovo. «Svelerò il nome tra un po’, però lo slogan c’è già: “We are one” (“Siamo una cosa sola”). Il mio è un movimento dal basso. Qualcosa di ben diverso dai due partiti presenti nel Paese: quello socialista e quello democratico. Il Senegal è la magia di una grande bellezza. È la terra dell’accoglienza e della convivenza pacifica. Il turismo, ora praticamente assente, può trarne giovamento. “Un peuple, un but, une foi”: ovvero un popolo, uno scopo ed una fede. Questo è il principio che ispira i senegalesi, uniti nelle tante differenze. Il nostro modello di convivenza è unico al mondo: ogni religione, razza, etnia e tribù viene rispettata. E sono proprio questi i valori della mia gente in cui più mi riconosco». Sarr ha già chiaro il suo piano d’azione. «Tengo molto ai fratelli senegalesi figli della diaspora. In Italia ce ne sono almeno 115 mila. Andrò da loro. Poi da quelli nel resto dell’Europa, dalla Francia alla Germania fino alla Spagna. Completerò il mio tour negli Stati Uniti e in Canada. Infine chiuderò la campagna in Senegal. Mi rivolgo a tutti».

Sarr è nato nel 1970 a Dakar, la capitale. «Ho trascorso la mia infanzia nel quartiere popolare Grand Yo. Vivere in un luogo periferico così complesso segna inevitabilmente il corso di un’esistenza. Ho avuto la grande fortuna di avere dalla mia parte due genitori che mi hanno insegnato i valori di onestà, sincerità, rispetto, gratitudine, solidarietà e giustizia». Poi, nel 2000, l’emigrazione in Italia. «Un Paese meraviglioso che mi ha accolto e mi ha dato la possibilità di affacciarmi al mondo del lavoro. Mi sento proprio un bergamasco: ho 51 anni e non mi sono ancora sposato, penso solo al lavoro».

In Italia ne ha fatti diversi. Più o meno gratificanti. «In Puglia, a Foggia, sono stato chino ore e ore sotto il sole cocente a raccogliere i pomodori. Poi a Bergamo ho fatto il facchino e il portinaio. Ho lavorato in fabbrica. Nel 2005 sono stato assunto da un golf club». Inizialmente come master caddy, ovvero addetto alle attrezzature. «Era un lavoro che avevano proposto a mio fratello: lui non lo voleva e così sono andato io. Mi sono appassionato a quel mondo. E ho fatto carriera. Tanto che, dopo aver frequentato la scuola nazionale di golf di Sutri, dal 2017 al 2020 sono diventato direttore di quello stesso circolo dove avevo iniziato nella Bergamasca. Sono riuscito a far rinascere un posto così meraviglioso in anni di profonda crisi».

Sarr ha comunque mantenuto il legame con il Senegal. «Ho creato una cooperativa attraverso cui ho potuto aiutare i miei connazionali, offrendo loro un lavoro in regola. Hanno così potuto ottenere il permesso di soggiorno, conquista imprescindibile per poter restare in Italia. Per concentrarmi sulla carriera politica ho lasciato il golf club. Ma della cooperativa continuo ad occuparmene. Vado davvero fiero della mia storia: è stata costellata da esperienze e incontri che mi hanno arricchito e fatto crescere come persona. Ed oggi, proprio con questo prezioso bagaglio di vissuto, voglio mettermi in gioco per il futuro del mio Senegal».