IL SALE DELLA TERRA
Le minoranze etniche del Nord della Thailandia cercano un difficile equilibrio tra le proprie radici e le sfide della modernità
La recente storia delle tribù dei monti è segnata da un nomadismo che ha portato questi popoli a lasciare le verdi valli cinesi dello Yunan per insediarsi in un vasto territorio in cui ben tre nazioni – Myanmar, Thailandia e Laos – sono divise dalle acque del grande Mekong.
Nelle popolazioni nomadi il legame tra passato, presente e futuro è un tutt’uno con il proprio pellegrinare: il passato è la memoria del percorso compiuto (così che la cultura è il sunto delle esperienze vissute in contesti diversi), il presente una realtà incompiuta e instabile mentre il futuro assume il sapore del progetto, della stanzialità, del desiderio della compiutezza.
I tribali hanno, nel corso degli anni, creato una autocoscienza di popolo che non ha nell’aspetto geografico o istituzionale la sua base: è invece nello stile di vita, negli usi e costumi, nell’amore per un’esistenza semplice nelle foreste e nell’orgoglio per la lingua che si trovano le radici del proprio sentirsi popolo. Queste radici per molto tempo immutabili stanno, a contatto con la modernità, cambiando i propri valori di riferimento.
Negli ultimi decenni c’è stata una lenta ricerca di una via all’assimilazione in cui i popoli tribali hanno investito energie e programmi per fare della Thailandia il proprio “porto sicuro” in cui fermarsi e costruire il futuro. L’aspirazione a quelle sicurezze che solo l’appartenenza a una nazione può dare – la cittadinanza, un’istruzione, un servizio sanitario e un terreno in cui “mettere radici” – hanno guidato queste etnie a fuggire da contesti precari, come il Myanmar, per scegliere una patria più stabile.
Questo processo di assimilazione ha comportato il pagamento di diversi pedaggi, quali la fuga delle nuove generazioni dai villaggi, il lento abbandono della lingua tribale, un distacco sempre più irreversibile dalle proprie radici culturali – diventate piano piano sterili rituali di cui non si conosce l’origine né la funzione – e l’assunzione dei valori dell’etnia predominante.
Ancor più recente è la migrazione non più verso la pianura e le grandi città thailandesi bensì verso nazioni più ricche in cerca di manodopera a basso costo quali Taiwan, Corea del Sud, Giappone e Israele. Il fenomeno sta diventando rilevante e impatterà senza dubbio sul futuro di queste popolazioni che stanno perdendo i propri giovani, i quali emigrano il tempo necessario per guadagnare quanto basta a costruire una casa in muratura alla propria famiglia, o a comprarsi un’automobile. Ma a fronte di ricchezze finora sconosciute tra i villaggi, queste minoranze etniche si vedono private delle loro forze migliori e le famiglie si disgregano. Tra visione nostalgica di un mondo nella foresta, desiderio di assimilazione nella società thailandese e fuga dei giovani all’estero si gioca il futuro delle tribù dei monti.
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