In un Paese come il Centrafrica, segnato da continue violenze e da povertà estrema, lavorare nell’unico ospedale pediatrico significa confrontarsi con il dolore innocente dei bambini. L’esperienza e le riflessioni di Aldo Parise, volontario di Medici con L’Africa-Cuamm
L’Africa e la missione sono sempre state un “affare di famiglia”, sin da quando, nel 1993, Aldo Parise e Simona Gentini si sono fidanzati e hanno iniziato a frequentare i corsi dell’Associazione Laici Pime (Alp). Sposati nel 1994, l’anno successivo sono partiti per il Nord del Camerun, dove sono nati i primi due figli, Gioele Zuzui e Noemi Sise, a cui sono seguiti in Italia Ester ed Elia. Cinque anni di condivisione quotidiana e intensa della vita della gente e della missione di padre Danilo Fenaroli del Pime, che hanno lasciato un segno profondo nel loro modo di affrontare le scelte di vita anche una volta tornati in Italia.
Dopo oltre vent’anni, una nuova partenza. Questa volta, però, Aldo è andato da solo in Centrafrica, ma con il sostegno di tutta la famiglia che ha condiviso la sua scelta e lo ha supportato a distanza.
«È stato molto diverso e più difficile – ammette al rientro, dopo cinque mesi passati a Bangui nella seconda metà del 2021 -, non tanto perché ero da solo, ma soprattutto per la situazione. Abituato a un contesto di savana, con spazi sterminati, piccoli villaggi e una vita semplice e tranquilla, a Bangui sono stato costretto a rimanere confinato in città, a causa dell’insicurezza che regna nel Paese, e ho passato la gran parte del tempo all’interno dell’ospedale pediatrico governativo, supportato da Medici con l’Africa-Cuamm, per cui ho lavorato come logista e manutentore. Un lavoro senza fine!».
Bisogni enormi ed enormi difficoltà nel reperire materiali, strumenti, attrezzature; un’emergenza dopo l’altra; la sensazione di non riuscire mai a soddisfare tutte le necessità, i continui imprevisti… «E un livello di stress molto alto!», confessa Aldo, al quale è mancata moltissimo anche la possibilità di condividere questa sua esperienza con la gente del posto.
«Il contesto è molto difficile e complesso – racconta -. Ci sono tanti conflitti e la città è militarizzata: esercito, caschi blu, miliziani russi e mercenari… Difficile uscire dalla capitale, ma anche accedere ad alcuni quartieri sconsigliati o vietati al personale delle ong. Come logista dovevo girare per cercare materiali, che spesso non trovavo, ma sempre con l’autista o con un collaboratore specialmente quando andavo nel cosiddetto PK5, il quartiere musulmano che è stato teatro di violenti scontri in passato e che ancora oggi è pericoloso».
Aldo era anche referente per la sicurezza dello staff del Cuamm, composto da una decina di espatriati non solo italiani. «Ogni giorno ricevevo alert su scontri, violenze e rastrellamenti nelle province e nei vari quartieri di Bangui. La situazione era davvero molto precaria. A volte si sentiva sparare di notte. È un Paese molto provato e la gente vive tra rassegnazione e rabbia». Oltre alle violenze scoppiate nel 2013 e mai del tutto risolte, con gran parte del territorio fuori dal controllo del governo, il Centrafrica vive anche una crisi umanitaria gravissima, peggiorata dalla pandemia di Coronavirus o meglio dai suoi “effetti collaterali”, come la frequente chiusura dei collegamenti via terra con i Paesi limitrofi o la cancellazione di molti voli con l’Europa e il resto del mondo. Questo, ad esempio, ha ostacolato l’approvvigionamento di prodotti alimentari, materie prime e farmaci.
L’ospedale pediatrico – lo stesso che era stato visitato da Papa Francesco nel 2015, quando si era recato in Centrafrica per inaugurare l’anno della Misericordia, con l’apertura della Porta santa della cattedrale di Bangui – è lo specchio di questo Paese a pezzi, delle sue fragilità e delle sue sofferenze, che lì dentro diventano ancora più strazianti, perché prendono la forma del dolore innocente di tantissimi bambini.
«Tutti i giorni si ha a che fare con piccoli pazienti che se ne vanno – dice Aldo -. Anche a livello psicologico non è facile…». Fuori di lì, però, c’è il nulla in termini di cure specifiche per i bambini. Quello di Bangui, infatti, è l’unico ospedale pediatrico universitario di tutto il Centrafrica, sostenuto, oltre che da Medici con l’Africa-Cuamm, anche dal Bambin Gesù di Roma e da Action contre la faim. Con circa 300 posti letto e 400 persone che vi lavorano, lo scorso anno ha visto laurearsi i suoi primi sei pediatri. Sino a quel momento, nel Paese, ce n’erano al massimo una decina. «Speriamo che continuino a lavorare in ospedale – auspica Aldo -, perché c’è drammaticamente bisogno di personale qualificato. È sempre pieno di bambini con patologie varie. Spesso arrivano in condizioni gravissime, perché i genitori tendono a portarli prima dai guaritori tradizionali. Talvolta sono così tanti che bisogna metterne due per letto. I medici hanno un carico di lavoro enorme, spesso in condizioni difficilissime, con la corrente elettrica sempre molto instabile, le apparecchiature più sofisticate che si guastano continuamente, tanti materiali introvabili sul posto o scadenti… Si rischia davvero di essere travolti da questa situazione o di venirne annientati».
La pandemia di Coronavirus ha aggravato ulteriormente la situazione, anche per la quasi totale mancanza di vaccini (solo il 7% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale) e per le difficoltà di raggiungere le province più remote. «Nonostante tutto, però, è stata dura anche venire via – riflette Aldo -. Ancora oggi ho in testa continuamente le immagini di quei bambini. Una sofferenza così non l’avevo mai sperimentata». E però non è pentito di aver scelto di fare questa esperienza, anzi. «Il lungo lockdown che abbiamo vissuto qui in Italia mi ha fatto molto riflettere. Osservavo la società in cui vivevo e constatavo come, di fronte all’emergenza della pandemia, si sia scoperta indifesa e molto più vulnerabile di quanto avesse mai creduto.
La gente era smarrita e incredula di fronte a tutto ciò. E questo ha generato un senso di smarrimento, diffidenza, sconforto e paura, ma soprattutto di chiusura in se stessi. Mi sono sentito molto a disagio di fronte a questo e ho deciso di reagire, aprendomi e uscendo dalle mie “sicurezze”, e lasciando, tra le altre cose, anche un lavoro a tempo indeterminato. È sempre stato un po’ uno stile di famiglia quello di affidarci alla Provvidenza. E non siamo mai stati delusi. A posteriori, nonostante le difficoltà e la consapevolezza che avrei potuto fare di più e meglio, devo dire che n’è valsa la pena. E le reazioni di molte persone anche sconosciute continuano a confermarmelo». MM
Centrafrica, un paese di sfollati
La Repubblica Centrafricana è una nazione di circa 5 milioni di abitanti molti dei quali vivono da sfollati in seguito alle continue violenze e all’occupazione del territorio da parte di gruppi ribelli, banditi e mercenari interessati soprattutto allo sfruttamento delle sue materie prime. Nonostante una significativa presenza dei caschi blu dell’Onu e, in precedenza, di una missione francese, dal 2013 il Paese continua a essere destabilizzato da una persistente crisi politica che lo ha fatto ulteriormente sprofondare ai più bassi livelli di sviluppo umano del pianeta. Medici con l’Africa-Cuamm è presente dal 2018.