Nasceva esattamene 150 anni fa, nell’aprile del 1872, la rivista “Le Missioni Cattoliche”, che nel 1969 avrebbe cambiato il suo nome in “Mondo e Missione”. Che ancora oggi continua ad aprire finestre sul mondo e a lasciar entrare le storie degli altri nelle nostre vite
«Registrare le notizie più minute di ogni giorno, i viaggi, le cose di storia naturale, etnologia, statistica, le necrologie, le bibliografie, gli scritti dei missionari». Si presentava con questo “programma” il primo numero di “Le Missioni Cattoliche” che usciva esattamene 150 anni fa, nell’aprile del 1872, e che nel 1969 avrebbe cambiato il suo nome in “Mondo e Missione”.
Centocinquant’anni di quella che è ritenuta la più antica rivista missionaria europea, uscita con continuità sin dalla sua fondazione. Una rivista che è cambiata e si è rinnovata nel corso del tempo e che continua a farlo ancora oggi – anche attraverso nuovi strumenti: il sito, i social, le mostre, gli eventi culturali… – per continuare ad aprire finestre sul mondo e lasciar entrare le storie degli altri nelle nostre vite.
Oggi, dunque, ricordiamo i nostri 150 anni con un duplice sguardo. Rivolto al passato per non dimenticare la storia su cui la rivista si fonda, che è anche la storia del Pime, ma non solo: di tutto il mondo missionario, della Chiesa universale, ma anche di tante regioni e popoli del mondo che hanno trovato spazio sulle sue pagine già in tempi in cui viaggi e corrispondenze erano assai più difficili. E uno sguardo rivolto al futuro per continuare a interrogarci sul senso dell’informazione da e sul mondo. E soprattutto sull’importanza della testimonianza. Che continua a fare la differenza.
Perché è stato questo, sin dall’inizio, il punto di forza della rivista: il valore testimoniale delle sue pubblicazioni, che all’inizio erano innanzitutto le lettere e le corrispondenze dei missionari che raccontavano da luoghi remoti e in mezzo a popoli sconosciuti le situazioni più diverse, spesso tragiche e altre curiose, talvolta eroiche altre di vita comune.
Ancora oggi, nonostante la comunicazione sia radicalmente cambiata, ci sono volti e parti di mondo che solo i missionari raccontano. Non solo però. La rivista si è arricchita dei contributi di giornalisti laici e professionisti e di una rete di volontari, attivisti, esperti e studiosi in Italia e nel mondo, che continuano a raccontare con un punto di vista originale e credibile.
«Il bene che questo periodico può fare anche tra noi – scriveva il suo primo direttore, padre Giacomo Scurati – ci ha fatto concepire il disegno di offrirlo ai nostri connazionali, lettura istruttiva, piacevole, nutrimento del cuore e della fede, sprone ad opere generose». A quel tempo, si trattava sostanzialmente della traduzione di “Les Missions Catholiques” di Lione, nate quattro anni prima su iniziativa di Pauline Jaricot, che sarà beatificata il prossimo 22 maggio. Da subito però vennero aggiunte «notizie e studi di missionari della nostra penisola, a qualsiasi Istituto appartengano», nella consapevolezza – già allora! – della «presente rapidità di comunicazione» e del «vivo bisogno di leggere».
Insomma, alcuni pionieri dell’allora Seminario lombardo per le missioni estere (che sarebbe diventato il Pontificio Istituto missioni estere, Pime, nel 1926) sentirono sin dall’inizio l’urgenza di raccontare i Paesi a cui erano destinati e l’incontro con il Vangelo delle comunità locali. Non solo: la rivista fu tra le prime a pubblicare numerosi e approfonditi studi di carattere missionario e teologico, ma anche scientifico, etnologico, storico e politico-sociale. Già nel primo numero, inoltre, veniva allegata una cartina inedita della Cina, a cui ne seguirono molte altre.
Un po’ alla volta, il periodico, arricchiva anche il suo corredo iconografico grazie alla pubblicazione di straordinarie litografie, tratte principalmente da fotografie o disegni di missionari e realizzate in gran parte da uno dei più celebri incisori di fine Ottocento / inizi Novecento, Francesco Canepi, attivo a Milano, Roma e poi in Francia dove è morto.
Una curiosità? Il primo numero della rivista costava 25 centesimi e l’abbonamento annuale 10 lire.
Direttori appassionati e “illuminati”
I primi direttori de “Le Missioni Cattoliche” furono grandi personalità, che lasciarono un segno non solo nell’informazione, ma più globalmente nel mondo missionario italiano. Oltre a padre Giacomo Scurati, che era rientrato a Milano dopo una sfortunata e breve presenza a Hong Kong e in Cina, la rivista venne diretta dal Beato Paolo Manna (1872-1952), “anima di fuoco”, come lo definì il suo confratello e successore padre Giovanni Battista Tragella: figura di spicco del mondo missionario italiano, fondatore delle Pontificie opere missionarie, prolifico scrittore e pubblicista, Manna fu direttore dal 1909 al 1920. Per lui, evangelizzazione faceva rima con informazione. E così, oltre a dirigere “Le Missioni Cattoliche”, fondò altre tre riviste: nel 1914, “Propaganda Missionaria”, un giornale dal taglio più popolare; nel 1919, “Italia Missionaria”, una rivista per i giovani; e nel 1943 a Ducenta, “Venga il tuo Regno”, indirizzata alle famiglie.
Il suo successore, padre Giovanni Battista Tragella (1885-1968) è stato anche titolare della prima cattedra di missiologia in Italia. Si deve a lui la trasformazione di quello che fino ad allora era stato il Bollettino settimanale dell’Opera della Propagazione della fede di Lione, in Rivista quindicinale illustrata dell’Istituto delle Missioni Estere.
Nel cuore del XX secolo, chi lascò un’impronta indelebile fu padre Piero Gheddo (1929-2017), che la guidò per 35 anni e le cambiò il nome in “Mondo e Missione” nel 1969. Viaggiatore e scrittore infaticabile, ha sempre vissuto l’informazione missionaria come vocazione nella vocazione.
Dopo padre Giancarlo Politi (1942-2019), grande esperto di cristianesimo in Cina e direttore dal 1994 al 2001, la rivista ha avuto il suo primo e unico direttore editoriale laico dal 2001 al 2013: Gerolamo Fazzini.
Attualmente è diretta da padre Mario Ghezzi che, dopo 17 anni in Cambogia, guida dal 2018 anche in Centro missionario Pime di Milano. «Ancora oggi – sostiene padre Ghezzi – “Mondo e Missione” continua a essere uno strumento agile e ricco di contenuti specifici legati alla missione e ai Paesi che la riguardano. Un’informazione per certi versi “di nicchia”, ma imprescindibile nel panorama italiano. Oltretutto non esiste più solo la rivista cartacea: questa è affiancata dal sito, dall’agenzia “AsiaNews”, dai social media e anche da molte iniziative culturali. Con tutti questi strumenti, vogliamo continuare a raccontare volti e parti di mondo altrimenti “oscurati” e, allo stesso tempo, la missione della Chiesa, che è annunciare il Vangelo a chi ancora non lo conosce».
Non solo missione
La «rivista missionaria per eccellenza», la definiva Tragella. E non per vanagloria. E neppure perché vi scrivevano i missionari, ma soprattutto per il fatto che è stata a lungo l’unico periodico a pubblicare anche approfonditi studi missiologici e teologici, sulle Chiese cristiane e sulle religioni non cristiane, con una prospettiva universale, attenta alla Chiesa in tutti i continenti. Un esempio? La “questione armena”: sin dal 1872 è presente sulle pagine della rivista che dedicò nel corso degli anni moltissima attenzione alle persecuzioni di cui gli armeni furono vittime sino al genocidio del 1915. Di qui la continua attenzione all’ecumenismo, ma anche il dialogo con le culture e le religioni, le nuove vie dell’evangelizzazione, i temi della giustizia, della pace, della solidarietà, dello sviluppo e così via…
Raccontare le «imprese» dei missionari, dunque, è stato certamente – e soprattutto agli inizi – lo scopo principale della rivista, ma non l’unico. Nelle lettere e nelle testimonianze – e poi via via in articoli, studi, approfondimenti, servizi speciali, dossier e molto altro – è sempre stata molto grande l’attenzione per i popoli a cui i missionari erano stati inviati. E, in tempi più recenti, è stato evidente lo sforzo di raccontare genuinamente il mondo a partire dagli ultimi, dai “senza voce”, da quelli cioè che non avevano e non hanno diritto di parola. O che non vengono ascoltati.
Voci di chi apparentemente non “conta” nulla, di minoranze oppresse o dei più poveri tra i poveri, ma anche di chi spesso opera silenziosamente e infaticabilmente “dal basso”, per costruire percorsi di resistenza e resilienza, di solidarietà e pacificazione in contesti segnati da crisi o violenza. Voci di periferie, geografiche ed esistenziali, che sempre di più sono anche le voci di Chiese giovani e dinamiche, magari originariamente fondate dal Pime e che oggi esprimono nuove interessanti dinamiche. A cui, appunto, si continua a dare voce.
Grandi personaggi e storie apparentemente “minori”
Questa attenzione è evidente anche nell’attenzione dedicata ai diversi personaggi che sono stati raccontati sulle pagine della rivista. Personaggi, spesso di altri continenti, che non erano necessariamente conosciuti in Italia. In alcuni casi, anzi, la rivista e le molte iniziative che anche in passato venivano promosse, ha contribuito in maniera significativa a renderli noti e popolari in particolare in Italia. Due esempi su tutti: Madre Teresa di Calcutta, una semi-sconosciuta nel 1973 quando guidava un’imponente marcia organizzata dal Pime nel cuore di Milano (che diventò la prima veglia missionaria); o dom Helder Camara, il vescovo dei poveri di Recife in Brasile, grande figura della Chiesa latinoamericana che seppe coniugare il Vangelo e lotta per la giustizia sociale. Ma anche moltissimi altri come Raoul Follereau, Jean Vanier, Oscar Romero, Beda Griffith e, più recentemente, Marcello Candia, Dominique Lapierre o i coniugi Piero e Lucille Corti. Figure che hanno lasciato un’impronta indelebile nei luoghi in cui hanno vissuto, ma che hanno trasmesso anche un messaggio universale che ha interpellato – e continua a farlo – pure le coscienze del mondo occidentale.
Ma non ci sono solo le grandi figure della Chiesa. Molto interesse avevano suscitato personaggi come Ghandi, che ritorna ripetutamente nella rivista in anni diversi, o Martin Luther King, sulla scia di una lunga tradizione di militanza contro il razzismo che è continuata anche dopo. Ma anche Léopold Sédar Senghor o Amilcar Cabral, “eroi” delle indipendenze africane, o figure come Che Guevara o Fidel Castro, che magari non suscitavano le stesse simpatie o consensi, ma che trovavano ampio spazio sulle pagine di una rivista missionaria che, nonostante l’identità ben precisa, mostrava anche una straordinaria apertura.
Più recentemente troviamo Nelson Mandela (e la questione razziale già negli anni Cinquanta) o Malala (e tutto ciò che riguarda la vasta galassia dell’islam, delle donne e dell’educazione). E per restare nell’ambito dei Premi Nobel per la pace, è stata proprio “Mondo e Missione” a far conoscere in Italia nel 2009 – e a portarlo successivamente a Milano – un grande personaggio come Denis Mukwege, il coraggioso medico congolese che cura le donne violentate e denuncia ingiustizie e sfruttamento nel suo Paese, insignito del prestigioso riconoscimento nel 2018.
Nella rivista, c’è ovviamente anche tutta la storia del Pime e delle grandi figure che l’hanno segnata: i fondatori e i martiri, i pionieri della missione o le “eccellenze” in altri campi: come il cartografo Simone Volonteri, a cui si deve la prima cartina dell’Henan in Cina, l’archeologo Raffaele Maglioni che operò straordinarie scoperte a Honk Kong, l’antropologo Carlo Salerio, che raccolte moltissimi oggetti in Micronesia; o il fotografo Leone Nani, le cui bellissime immagini della Cina di inizio Novecento hanno arricchito le pagine della rivista.
Non solo le grandi figure, però. Sfogliando la rivista si trovano anche tante storie semplici, alcune delle quali davvero curiose: come quella della prima mamma che, nella storia della missione cattolica di Hong Kong, era andata a trovare il figlio sacerdote del Pime, a cui viene dedicato un intero Servizio Speciale nel 1964!
Ma al di là di queste particolarità, sono spesso le storie apparentemente “minori” che ancora oggi continuano a raccontare il senso di una presenza e di un impegno in tante zone del mondo: storie narrate quasi con discrezione specialmente quando i protagonisti sono gli stessi missionari. Eppure proprio in questi racconti, che hanno finalmente perso l’aura dell’“impresa”, si trova un’umanità grande al servizio del Vangelo e dell’altro e un anelito alla conoscenza e all’incontro che rappresentano ancora oggi una grande testimonianza. Di vita, prima ancora che di giornalismo.