E il verbo si fece fratello

E il verbo si fece fratello

Da Charles de Foucauld – che il 15 maggio sarà santo – a Christian de Chergé, il tema della fratellanza impregna la Chiesa d’Algeria. Il nuovo arcivescovo di Algeri, Jean-Paul Vesco, racconta l’universalità di questo messaggio

«Nella sua ricerca di fratellanza universale, Charles de Foucauld non ha mai smesso di andare sempre più lontano, per provare cosa significa essere davvero “fratello universale”». È una ricerca che continua a interpellare la Chiesa d’Algeria così come il nuovo arcivescovo della capitale Algeri, Jean-Paul Vesco, 60 anni, originario di Lione, che riflette sul significato di questa fratellanza oggi, alla vigilia della canonizzazione di fratel Charles che si terrà a Roma il 15 maggio. Un evento a lungo rinviato a causa della pandemia di Covid-19, che suscita grande gioia, ma anche qualche immancabile polemica. E questo proprio in Algeria dove la figura di fratel Charles continua a essere offuscata da malintesi coloniali.

Eppure la storia straordinaria di quest’uomo, che ha vissuto una «conversione folgorante» – come fa notare monsignor Vesco – e ha saputo testimoniare un radicale cambiamento di vita, è ancora di grande ispirazione per molti, fuori e dentro l’Algeria, al punto che lo stesso Papa Francesco ne ha fatto l’icona della sua enciclica Fratelli tutti: «Egli andò orientando il suo ideale di una dedizione totale a Dio verso un’identificazione con gli ultimi, abbandonati nel profondo del deserto africano. In quel contesto esprimeva la sua aspirazione a sentire qualunque essere umano come un fratello. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad essere fratello di tutti».

È un aspetto che anche monsignor Vesco tiene a sottolineare, alla luce dalla particolarissima esperienza di Chiesa che si vive in Algeria. Una Chiesa esigua, poche migliaia di fedeli, quasi tutti stranieri; una Chiesa della testimonianza vivente della Buona Novella che ancora oggi non può essere proclamata apertamente, ma che si incarna nella vita di tanti che, sparpagliati su un territorio vastissimo e desertico, continuano a stare a fianco e a identificarsi con gli ultimi. «Charles de Foucauld – riflette l’arcivescovo di Algeri – arrivò a essere fratello universale, non annunciando il Vangelo come aveva immaginato all’inizio, ma appassionandosi alla lingua e alla cultura delle popolazioni tuareg fino al punto di redigere il primo dizionario della lingua tamasheq e di trascrivere un intero componimento poetico trasmesso oralmente di generazione in generazione. È nel prendere sul serio il “noi” dei suoi fratelli tuareg che diventa ancor più fratello universale, e non partendo da un ideale astratto di fratellanza che aveva in mente. Bisogna essere in due per essere fratelli».

L’altro, in Algeria, è necessariamente il fratello musulmano, in un Paese dove la quasi totalità dei suoi abitanti professa la religione di Maometto. Ed è proprio per questo che, continua Vesco, «è nel Dna della nostra Chiesa il fatto di non limitare l’orizzonte della fratellanza alla comunità cristiana. La quasi totalità delle nostre azioni, individuali e collettive, non solo non tengono conto dell’appartenenza religiosa, ma sono tutte tese verso il contesto musulmano nel quale viviamo e che ci è dato di amare. Si tratta per noi di un’evidenza, ma tale evidenza non è scontata. Perché sempre emerge la domanda lancinante: “Ma perché lo fanno?”. È in questa domanda sempre aperta che risiede la forza della nostra testimonianza, più che nelle parole che utilizziamo nel tentativo di rispondervi».
Una testimonianza che va oltre il contesto specifico e molto particolare dell’Algeria. Perché, come appunto fa notare anche Papa Francesco – e lo sancisce con forza con la sua canonizzazione – Charles de Foucauld, con la radicalità della sua fede e della sua testimonianza, che vanno oltre il contesto geografico e storico in cui ha vissuto, può continuare a ispirare tutta la Chiesa universale.

La fratellanza, del resto, è un cammino e un’urgenza per tutti, secondo il vescovo di Algeri. Che si spinge oltre. «La fratellanza è un’audacia. Quella, ad esempio, dell’incontro spirituale con un credente di un’altra religione, che riconosciamo e dal quale siamo riconosciuti come veri credenti. È in questo senso che intendo anche il dialogo islamo-cristiano, un dialogo tra credenti delle due religioni che può avanzare soprattutto nella dimensione della fraternità».
È l’esperienza da sempre portata avanti anche da Christian de Chergé, priore del monastero di Tibhirine, rapito e ucciso con sei confratelli nella primavera del 1996. Due anni prima, nella Messa del giovedì santo, così diceva: «E il Verbo si è fatto fratello, fratello di Abele e anche di Caino, fratello di Isacco e insieme di Ismaele, fratello di Giuseppe e degli altri undici che lo hanno venduto, fratello della pianura e fratello della montagna (intendendo i militari algerini e i terroristi – ndr), fratello di Pietro e di Giuda e dell’uno e dell’altro in me».

Oggi questo tema della fratellanza, la Chiesa d’Algeria lo testimonia facendo anche da “cerniera” tra l’Africa subsahariana e il Mediterraneo. Per la sua posizione geografica, tra Sahara e Mare Nostrum, si confronta spesso con la presenza e il passaggio di molti migranti, alcuni studenti nelle università dell’Algeria, altri in transito verso l’Europa. «Noi viviamo la fratellanza con i migranti subsahariani soprattutto quando creiamo relazioni che ci mettono in discussione in profondità, aiutandoci anche a disfarci del senso di superiorità di chi è in posizione di aiuto per entrare in una relazione di maggior alterità».

Questo incontro diventa occasione anche per riflettere sulle frontiere che, secondo monsignor Vesco, sono soprattutto «quelle che costruiamo noi: frontiere artificiali che non possono funzionare. Sono e saranno il vero problema. Per me, invece, la sfida è quella di ritrovare un’identità mediterranea comune. Perché il Mediterraneo è uno spazio che unisce, non una frontiera che divide. Uno spazio in cui popoli e culture per tanti aspetti molto simili tra loro possono vivere insieme in uno spirito di fratellanza».


L’AVVOCATO DEL DIALOGO
Nato a Lione nel 1962, laureato in Giurisprudenza con un master in Business Administration, Jean-Paul Vesco lavora alcuni anni come avvocato. All’indomani dei funerali di Pierre Claverie, vescovo di Orano, assassinato il 1° agosto 1996, sente «qualcosa di misterioso, un legame profondo con quell’uomo che mi ha spinto a rispondere a una chiamata che mi portava proprio qui, in Algeria», ricorda.
Entrato nel seminario dei domenicani, viene ordinato prete nel 2001 e quindi inviato proprio in Algeria, a Tlemcen, nella diocesi di Orano. Nel 2010 viene eletto priore provinciale dei domenicani francesi e dunque rientra in Francia sino al 2012, quando viene consacrato vescovo di Orano. Il 27 dicembre 2021, Papa Francesco lo nomina arcivescovo di Algeri, dove si installa l’11 febbraio 2022, succedendo al gesuita Paul Desfarges.


LA MOSTRA
Fratello universale

Chi era quest’uomo complesso e fuori dal comune, esploratore del deserto e dell’anima? Che cosa continuano a dirci oggi la sua spiritualità e la sua radicalità? Ucciso nel Grande Sud dell’Algeria dove aveva dedicato la vita alla preghiera e all’incontro con l’altro, Charles de Foucauld è diventato un’icona per la Chiesa universale.
Una figura affascinante raccontata in una mostra di 12 pannelli roll up che possono essere noleggiati contattando il Centro Pime di Milano (02.438201 –
centropime@pimemilano.com)