Padre Mourad è stato sequestrato dall’Isis per più di cinque mesi. Un’esperienza drammatica da cui è uscito con una convinzione: «La volontà di Dio è più forte del male che sta nel cuore dell’uomo»
Ha lo sguardo mite, il sorriso dolce. Parla con gentilezza. Mai una parola dura, di accusa o di condanna. Padre Jacques Mourad, monaco siriano di Mar Musa, sembra l’incarnazione di quella “rivoluzione della tenerezza”, «che si fa compassione per chi soffre, abbatte i muri e semina riconciliazione», come ripete spesso Papa Francesco. Questo, nonostante padre Mourad sia reduce da una lunga e penosa prigionia nelle mani dell’Isis in Siria. Anzi, forse proprio per quello. «In quei giorni è cambiato il senso della mia vita – dice -. E le parole di Charles de Foucauld “Padre, mi consegno nelle tue mani”, hanno acquisito per me una forza nuova».
Di passaggio a Roma, padre Mourad racconta i giorni tragici del suo sequestro, dal 21 maggio al 10 ottobre 2015, insieme a un diacono, Boutros Hanna; ricorda le violenze, le umiliazioni, la paura e talvolta lo sconforto: «Ogni giorno pensavamo che fosse l’ultimo», ricorda il monaco che si definisce «compagno e discepolo» di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita fondatore del monastero di Mar Musa, che dal luglio 2013 si trova nelle mani degli uomini del Califfato.
«Senza dubbio – ricorda – i primi giorni sono stati di angoscia, timore e umiliazione. Ma anche un tempo costante di preghiera, sorgente di forza, pace e fiducia che Dio non ci abbandona. Mi dicevo che non eravamo i primi e neppure gli ultimi a essere martirizzati per Gesù. Ma mi vergognavo anche: chi sono io, mi chiedevo, per meritare questa fine per Gesù? La mia preghiera era una supplica, una domanda di perdono ed espiazione per me e per molti». Sequestrato nella cittadina di Qaryatayn, a sud di Homs, dove viveva da dieci anni nell’antico monastero di Mar Elian del V secolo (una “filiazione” di Mar Musa), padre Mourad viene trasferito dai suoi rapitori a Rakka e recluso in un bagno trasformato in cella. «Quando ho saputo che ero a Rakka – racconta – ho sperato che mi mettessero con padre Paolo. Sento che è vivo, anche se non ne ho le prove. E chiedo a tutti di pregare per lui e per tutti quelli che sono ancora sequestrati. Non dobbiamo chiudere il loro caso. Sento che il Signore mi ha permesso di tornare in libertà perché la Chiesa possa rinnovare il suo impegno per loro».
La sua liberazione è stata un vero miracolo, riconosce padre Mourad, che ha subìto violenze fisiche e psicologiche, è stato flagellato e fatto oggetto di una finta esecuzione. «Ogni giorno entrava qualcuno nella nostra cella, persone diverse: siriani, iracheni, sauditi… Ci parlavano con durezza, ci umiliavano e ci provocavano. Tutti dicevano che, se non ci fossimo convertiti all’islam, ci avrebbero tagliato la gola».
L’ottavo giorno, un uomo si è affacciato alla cella di padre Mourad: vestito di nero e incappucciato. Sapeva i loro nomi e ha chiesto loro se erano nasara, nazareni, ovvero cristiani. «Rispondiamo di sì – racconta -. Lui entra e con mio grande stupore, ci saluta: “Salam Aleikum!”, che la pace sia con voi. In genere i nostri carcerieri non ci salutavano, ci trattavano da infedeli, inferiori e impuri. Dovevamo abbassare lo sguardo e talvolta metterci in ginocchio. Quell’uomo, invece, si comportava diversamente…».
L’atmosfera che si crea è buona e padre Mourad prende il coraggio di chiedere: «Perché siamo qui?». L’uomo risponde: «Padre, consideralo un “ritiro spirituale”». «L’espressione “ritiro” – riflette il monaco – viene usata dai sufi non certamente da quelli di Isis. Sentire quell’espressione ha suscitato in me stupore. Non ho mai più visto quell’uomo. Ma da quel momento, ho cominciato a considerare non solo la prigionia, ma tutti i giorni della mia vita come un “ritiro” con il Signore».
Passano i giorni e il 5 agosto gli uomini del Califfato conquistano la cittadina di Qaryatayn e sequestrano tutti i cristiani, casa per casa: uomini, donne, bambini, persino vecchi e ammalati.
L’11 agosto, un saudita si presenta nel covo in cui padre Mourad è tenuto prigioniero con Boutros e un altro cristiano. Vengono caricati su un furgone e portati via. Temono il peggio. A un certo punto, vengono fatti scendere. Si ritrovano davanti a un grande portone di ferro. «Lo aprono – ricorda il monaco – e vedo di fronte a me tutti i cristiani di Qaryatayn. È stato il momento più difficile della mia vita. Prima del rapimento avevo la sensazione che qualcosa di grave potesse accadere, soprattutto dopo la presa di Palmira. Per questo avevo detto ai miei parrocchiani che se mi fosse successo qualcosa, i cristiani dovevano andarsene da Qaryatayn. In prigione stavo tranquillo, perché sapevo che avrebbero fatto quanto avevo detto loro. Quando poi li ho visti lì, è stato un grande shock per me. In più di quindici anni di relazioni strette, erano come la mia famiglia».
Dopo circa un mese di detenzione, il primo settembre, gli uomini del Califfato permettono a tutti di tornare alle loro case, sotto “patto di tutela” e dietro pagamento di una tassa (jizya) imposta ai non musulmani: non sono però liberi di lasciare il territorio controllato da Isis. Nella cittadina di Qaryatayn, dove vivono circa 300 cristiani, le due chiese, quella siro-cattolica e quella siro-ortodossa, sono state distrutte. Così come il monastero, dove è stata profanata anche la tomba di San Giuliano, il patrono della regione. «Non ho provato né rancore né tristezza davanti alle rovine, nonostante quindici anni di lavoro nostro e di tante altre persone – ammette il monaco -. Durante la Messa per la festa di san Giuliano, il 9 settembre, ho detto ai cristiani che il santo ci aveva salvato e redento, offrendo il suo monastero e la sua tomba per noi».
Per settimane, padre Mourad ha vissuto con le famiglie del posto e celebrato la Messa in uno scantinato: «Il fatto di celebrare la Messa è stata una grande consolazione, perché Gesù è la nostra vita, è presente nell’Eucaristia che santifichiamo. Abbiamo ringraziato il Signore perché tutti i cristiani sequestrati non hanno subito violenze e nessuno si è convertito all’islam, nonostante le provocazioni e le minacce. E abbiamo battezzato tre bambini, uno dei quali era nato durante la detenzione».
Il 10 ottobre padre Mourad riesce a fuggire dai luoghi controllati da Isis. E, dopo un passaggio in Italia e Libano, è deciso a tornare in Siria. Con una convinzione: «Durante il sequestro, sentivo e capivo che la volontà di Dio è più forte di qualsiasi male che può risiedere nel cuore umano». MM
2 risposte
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[…] guerra. Nel 2016 – poco dopo la sua liberazione – padre Mourad aveva raccontato in un’intervista alla rivista del Pime Mondo e Missione: “In quei giorni è cambiato il senso della mia vita. E le parole di Charles de Foucauld […]