A fine mese, l’Assemblea panbrasiliana riunirà i 75 missionari presenti nel Paese. Un appuntamento per ripensare un impegno che oggi chiede presenze concentrate su nuove frontiere
L’attività missionaria si trasforma radicalmente nel ventunesimo secolo e i tradizionali istituti missionari come il Pime si adattano. Sarebbe insensato non farlo o mettersi in coda anziché in testa ai cambiamenti. Prendiamo il Brasile, uno dei Paesi a cui l’Istituto ha dato il suo piccolo contributo dal 1946 con circa 260 missionari di cui 75 ancora attivi seppure con un’età media alta. Negli Stati federali meridionali di San Paolo, Paraná, Santa Caterina e Mato Grosso l’impronta “pimina” è diffusa in dozzine di parrocchie. Al nord sempre a metà del secolo scorso il Pime ha preso in mano una diocesi embrionale nell’intero Stato di Amapá realizzando in alcuni decenni praticamente tutto: comunità e parrocchie, cattedrale, chiese e cappelle, programmi pastorali e un minimo di clero locale. Nel cuore dell’Amazzonia a Manaus la parrocchia di Nossa Senhora de Nazaré è stata il punto di partenza e di germinazione di alcune decine di altre parrocchie e comunità; mentre 500 chilometri più ad est, sempre nello Stato di Amazonas, è cresciuta dal nulla fino alla maturità la diocesi di Parintins. Le difficoltà sono state tante, comprese quelle legate alle dispute teologiche ed ideologiche della seconda metà del ventesimo secolo; ma la generosità e la dedizione di decine di missionari – soprattutto lombardi, veneti e campani – è lì da vedere. Come è stato possibile fare tanto in così poco tempo? Forse è il risvolto positivo del conclamato individualismo pimino e del grande sostegno affettivo ed anche economico alle missioni dall’Italia.
In Brasile, sono finite le “missioni” nel senso che la Chiesa è stata impiantata: nel cuore della gente e nella sua ossatura organizzativa essenziale. Non è finito l’annuncio del Vangelo. Anzi! Girando per il Paese sembra essere proprio questo il momento propizio. Decine di nuove associazioni laicali e religiose di ogni genere. Le congregazioni fortemente impegnate nel sociale. La gente prontissima a radunarsi attorno alla Parola di Dio, a fare comunità e festa insieme. Nello stesso tempo, però, metà della popolazione rimane più o meno indifferente alla dimensione spirituale della vita. La corruzione politica ed amministrativa è dilagante. La povertà nelle grandi città è solo stemperata dall’assistenzialismo interessato degli ultimi governi di sinistra.
Il Brasile è sempre un Paese di missione. Ma per il Pime nel ventunesimo secolo la dinamica sarà diversa. Non più fondazione a raffica di parrocchie (già fatto), ma piccoli numeri per presenze incisive e specifiche. Sono tre in effetti le linee su cui i 75 missionari presenti nel Paese, insieme alla Direzione generale del Pime e alcuni connazionali missionari all’estero, stanno lavorando in vista della loro assemblea generale in programma dal 25 al 29 gennaio nella capitale Brasilia. La prima è quella di una continuità pastorale territoriale minima. Tradotto: una decina di parrocchie (non di più) in tutto il Paese nelle aree tradizionali di presenza (Amazonas, Amapá, Paraná e forse San Paolo e Sergipe) per un aggancio certo e diretto alla Chiesa locale.
Ma accanto a questo, attività missionaria di evangelizzazione in ambiti sociologici e culturali, più che geografici: mass media, studenti, cultura, carcere ed emarginazione sociale, bambini di strada e minori, difesa della terra e dell’ambiente e quindi delle comunità rurali e fluviali minacciate. Ci saranno meno missionari, ma in molti casi più capaci e qualificati. Anche perché un terzo ambito di impegno sarà proprio quello di aprire le comunità ed interpellare i giovani circa il loro stesso impegno missionario dentro e fuori il Brasile. Tutte cose che si fanno già, in modo più o meno efficace e più o meno convinto, ma che promettono ormai di essere le tre linee d’azione chiare e quasi esclusive dei prossimi decenni.
Il Brasile ha ora il 25% della popolazione attiva nelle Chiese evangeliche e pentecostali e il 15% circa attivo nella Chiesa cattolica. Il 10% circa membro di altri culti. È chiaro che le varie denominazioni religiose (cattolici e pentecostali per esempio), generalmente si riconoscono come incompatibili. Ma il vescovo ausiliare di Belém, mons. Ireneu Roman, mi raccontava che, nonostante tutte le differenze, abbiamo almeno due elementi in comune: la Bibbia e la gente, soprattutto quella metà della popolazione che nessuno intercetta.
La futura attività missionaria del Pime si focalizzerà probabilmente nell’Amazzonia, simbolo latino-americano della missione del passato e del futuro: allora popolazioni isolate e sperdute dai tratti somatici e culturali decisamente asiatici; ora testimoni di una crescita demografica massiccia, subissati dall’immigrazione interna e custodi disarmati del polmone della Terra attaccato da ogni forma di virus tipico della modernità: disboscamento, coltura intensiva, inquinamento da attività minerarie, lavoro schiavo, urbanizzazione da favela, commercio della droga, aggressione mass-mediale di carattere commerciale ed incurante dell’etica. Per i futuri missionari la casa è la strada e un tetto molto modesto. Non troppo distante né distinto da quello della gente comune, soprattutto dei giovani e dei poveri. MM