Domenica 2 ottobre, il popolo brasiliano è chiamato a scegliere presidente, vicepresidente e Congresso Nacional. Ma dietro la sfida Bolsonaro-Lula, c’è un Paese dilaniato da troppe contraddizioni. E con tante speranze deluse
Si era presentato nel 2018 come difensore dei valori conservatori e delle politiche ferree in materia di sicurezza nazionale, promettendo armi alla popolazione «a difesa della libertà». Jair Bolsonaro aveva vinto predicando una dura lotta alla corruzione del precedente governo e il rafforzamento dell’economia attraverso un’agenda di privatizzazione delle società statali. A quattro anni di distanza, che cosa resta della sua agenda?
Nell’aprile 2019, Bolsonaro era stato inserito nella lista delle 100 persone più influenti al mondo dalla rivista Times. Che tuttavia evidenziava come il carattere populista e controverso del presidente avrebbe potuto invertire il cammino di sviluppo del Brasile specialmente in ambiti come quello della sanità e dell’istruzione e in relazione al cambiamento climatico.
Detto, fatto! Durante le ondate di Covid-19, l’esecutivo ha ignorato il rischio di contagio, si è opposto al distanziamento sociale e ha rinviato la vaccinazione contro il virus. Il Sistema sanitario unificato (Sus) è stato demolito nelle metropoli; l’istruzione ha conosciuto una pesante battuta d’arresto, contribuendo all’aumento delle diseguaglianze tra ricchi e poveri.
Le privatizzazioni stanno andando avanti molto lentamente, ma continuano. Visibile agli occhi del mondo, invece, è l’impatto ambientale subìto dal Paese che, invece di difendere la sua biodiversità, ne è diventato il predatore.
L’Amazzonia, in particolare, è la regione più abusata da minatori illegali, proprietari terrieri e allevatori, sostenuti dall’esecutivo federale. Nel 2021, solo in questa regione sono stati disboscati 111,6 ettari all’ora: 1,9 ettari al minuto. La deforestazione e il conseguente incendio delle foreste, sia nelle aree indigene che fuori, incoraggia l’estrazione dell’oro, l’allevamento di bestiame da carne e l’incremento dell’agrobusiness: soia, canna da zucchero, cotone, mais… L’avanzata dell’agroindustria nel Cerrado (una zona simile alle savane d’Africa e Australia), ha trasformato, a sua volta, il Centro-ovest in uno dei più grandi granai del mondo. Paradossalmente, il Paese che ha prodotto 271,4 milioni di tonnellate di grano nell’ultimo raccolto, oggi ha 33,1 milioni di brasiliani che non hanno nulla da mangiare e il 58,7% della popolazione vive in una condizione di insicurezza alimentare, secondo il National Survey on Food Insecurity, reso noto nel mese di giugno.
Altro paradosso: Bolsonaro, che ha promesso di porre fine al “Centrão” – il gruppo di deputati federali dei partiti “moderati” che, insieme, gestiscono circa 73 miliardi di reais del Paese – oggi si affida ad esso, anche attraverso un “bilancio segreto”, per evitare il processo di impeachment e la vittoria della sinistra di Lula, che torna a sfidarlo nelle elezioni del 2 ottobre.
Infine, l’aspetto religioso: lo Stato brasiliano è ufficialmente laico, ma solo sulla carta, poiché il pragmatismo elettorale del presidente ha sedotto 50 milioni di evangelici in una “battaglia religiosa” senza precedenti. «L’attuale gruppo di potere evangelico è il più filogovernativo degli ultimi cinque mandati presidenziali. Dei voti registrati dagli evangelici, il 90% era a favore del governo Bolsonaro», ha affermato il teologo Allen Callahan in un articolo firmato da Frei Betto.
Il futuro riserva alla società brasiliana più domande che risposte su istanze etiche, di giustizia sociale e democrazia. L’elettorato (oltre 156 milioni di elettori) andrà sicuramente ancora “a tentoni”, anche dopo le elezioni di ottobre, a causa di un insieme di «disinformazione, fake news e infodemia» e sull’onda del diffuso “incanto/disincanto” per la politica.
Del resto, nonostante il governo dica di garantire la libertà di pensiero, si verificano gravi minacce contro la stampa e i suoi professionisti. I dati del Grupo de análise de conjuntura padre Thierry Linard – CNBB1 mostrano che «nei primi sette mesi del 2022 sono state registrate 66 aggressioni: violenze fisiche, distruzione di attrezzature, intimidazioni e omicidi di giornalisti. Una crescita del 69,2% rispetto allo stesso periodo del 2021, che registrava 39 casi».
E che dire dei giovani, in tutto questo “imbroglio”? I giovani di tutte le classi e generi, sintonizzati su tutti i tipi di reti virtuali, chiedono di essere ascoltati e di avere garantita un’istruzione di qualità e concrete opportunità di lavoro. Ma anche questa è una grande sfida per chiunque governi il Paese. MM
Parola, pane, carità e missione. Il compito della Chiesa
In questo scenario la Chiesa ha un compito importante legato all’evangelizzazione: essere sale della terra e luce del mondo. Annunciare la buona novella, essere segno di speranza, di riconciliazione e pace, di dialogo, è come dare un’anima a tutte le attività umane. Lo spirituale diventa allora principio unificante e vitale per animare le realtà sociali. La Chiesa in Brasile nel quadriennio 2019-2023 ha scelto come immagine la casa sostenuta da quattro pilastri: Parola, Pane, Carità e Azione Missionaria. Queste ultime sono la grande sfida: incentivare tutte le pastorali e movimenti sociali, sviluppando la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa a tutti i livelli. È stato pubblicato recentemente il compendio della dottrina sociale della Chiesa, ma pochi lo conoscono. Rimane allora attualissimo l’appello di Puebla del 1979 quando afferma che «la trasformazione delle strutture deve essere fatta attraverso una vera conversione dello spirito». Insomma, senza donne e uomini nuovi, come afferma San Paolo, non può esserci una nuova società basata su giustizia e fratellanza.
Condividendo queste idee con alcuni giovani provenienti da vari luoghi del Brasile, chiedevo loro cosa si attendono dalla Chiesa. Dicevano: «una vera promozione di valori giacché molte volte noi giovani ci sentiamo preda facile del consumismo, delle reti sociali e di un materialismo alienante». Insomma, la Chiesa, fermento della massa, deve essere il punto fermo, un’àncora di testimonianza capace di dare quel quid di cui la società è il mondo ha bisogno. Questa è la sfida di sempre per noi missionari e missionarie del Regno (padre Piero Facci, missionario del Pime a Macapá- Brasile)