Vicinanza e sostegno spirituale a malati e disabili. È la missione della tenerezza di suor Sandra Covini a Hong Kong, accanto a persone spesso molto sole
Sin da ragazzina aveva la missione nel cuore. Ben presto, suor Sandra Covini – che oggi ha 55 anni e vive da 20 a Hong Kong – si è resa conto che non si trattava solo di un desiderio adolescenziale. No, era proprio la missione che voleva, l’andare alle genti, il partire lontano. «Sentivo che doveva essere una scelta per tutta la vita, anche se a quel tempo non ero capace di esprimerlo a me stessa e agli altri». Non solo, però: tra la missione “sognata” e quella vissuta, c’era un altro solco da colmare. «Avevo in mente posti remoti, villaggi isolati… E mi sono ritrovata a Hong Kong!». Le sfide di una metropoli ultramoderna e tecnologica, ricca e dinamica – che da qualche anno, tuttavia, subisce i contraccolpi del Covid-19 e del pugno di ferro di Pechino – sono tante e complesse anche per il mondo cattolico e missionario e per realtà come quella del Pime e delle Missionarie dell’Immacolata che sono ormai una presenza storica.
«L’impatto non è stato facile – ammette suor Sandra -. Innanzitutto, c’è lo scoglio della lingua: ci vogliono almeno 4-5 anni per riuscire a dire qualcosa e dopo 20 continua a metterti alla prova…». Poi, però, c’è soprattutto la sfida di chi sta ai margini di questa metropoli apparentemente super efficiente e organizzata, di chi non riesce o non può stare al passo con i suoi ritmi forsennati, con tempi di lavoro soverchianti e spazi di vita ridotti, sia in termini concreti, perché le case sono minuscole e opprimenti, sia come possibilità di dedicarsi ad altre attività e di coltivare relazioni. In questo contesto, malati e disabili sono gli invisibili tra gli invisibili. Spesso non c’è nessuno che se ne prende cura. Per suor Sandra, invece, sono sempre stati al centro della sua missione.
«All’inizio – ricorda – mi sono dedicata soprattutto alla pastorale in ospedale. Si trattava di un servizio offerto dalla diocesi nei nosocomi governativi. Allora c’erano una visione più olistica della cura, una maggiore considerazione per l’assistenza spirituale e molto rispetto anche da parte dei non cattolici, che erano ovviamente i più numerosi».
Suor Sandra, del resto, non ha mai fatto distinzioni. «Anzi – dice – mi sentivo più missionaria con chi non era cristiano! Molti si meravigliavano di vedere me, straniera e suora, andare a visitarli e interessarmi ai loro problemi, quando spesso neppure la famiglia dava loro attenzione».
L’isolamento e la solitudine sono state alcune costanti di un impegno che già doveva confrontarsi quotidianamente con la malattia e la sofferenza. «Quello che più mi colpiva era la loro solitudine, il fatto che nessuno andasse a trovarli, perché tutti lavorano moltissimo e non hanno il tempo o la possibilità di far visita ai loro cari in ospedale. Il fatto che mi avvicinassi a loro e gli dedicassi del tempo per ascoltarli e aiutarli in alcune situazioni particolari li toccava profondamente. Sentivano di non essere completamente abbandonati».
Questo andare incontro ai bisogni spirituali degli ammalati ha rappresentato per suor Sandra anche un modo per testimoniare la sua fede in un Dio che è padre di tutti, anche di chi non lo conosce; per questo, la sua vicinanza in un contesto socio-culturale e religioso così diverso si è spesso tradotta anche in un messaggio di speranza.
Dopo una parentesi in Cina continentale – dove ha studiato il mandarino e ha collaborato con l’organizzazione Huiling, che si occupa di disabili e in cui è impegnato anche il missionario del Pime Fernando Cagnin – suor Sandra è rientrata a Hong Kong.
«Ho ripreso il servizio in ospedale, ma nel frattempo le condizioni erano cambiate: volevano inquadrarmi come i dipendenti, con contratto, orari, restrizioni e tanta burocrazia. Passavo più tempo davanti al computer a fare report e compilare moduli che a dedicarmi agli ammalati. Volevo fare la suora, non il funzionario! E così ho lasciato l’ospedale e ho trovato la Fu Hong Society».
Si tratta di un’altra importante e articolata realtà che si occupa di disabili, fondata pure questa da un missionario del Pime, padre Giosuè Bonzi, su ispirazione di un pioniere in questo campo, padre Enea Tapella. Da oltre quarant’anni, la Fu Hong Society offre servizi qualificati ai disabili per sviluppare le loro potenzialità e aiutarli a integrarsi nella società. Attualmente ha più di 1.100 dipendenti e gestisce oltre quaranta servizi per circa 4.000 persone con disabilità mentale e fisica all’anno. Inoltre, continua ad accogliere 25 disabili in tre case-famiglia. «Si tratta di persone che non hanno nessuno che possa occuparsi di loro – precisa suor Sandra -. Oltretutto, qui le misure restrittive per contrastare il Coronavirus sono state molto severe e continuano tuttora con un impatto pesantissimo su tutti e in particolare su chi è già fragile e vulnerabile come i disabili delle nostre case. Per lunghi periodi non hanno potuto andare nei centri diurni, lavorare, fare altre attività, partecipare alla Messa per i cattolici o ricevere visite. In questo modo si sono perse molte occasioni di incontro e relazione che sono fondamentali. Costretti a stare a lungo chiusi in casa, hanno sofferto molto l’isolamento: una condizione che può destabilizzare sia i singoli che la vita di famiglia».
Anche il servizio di suor Sandra, che è soprattutto di assistenza spirituale degli ospiti e degli operatori, è stato molto perturbato. «Ci vuole ancora tanta pazienza!», ammette la religiosa, anche perché, paradossalmente, case di riposo, centri di accoglienza o servizi per disabili e anziani sono sottoposti a misure e controlli più stringenti rispetto ai luoghi di lavoro o di divertimento: «Si ha spesso l’impressione che il business venga prima delle persone…». Lei però non si abbatte: «Cerco di incoraggiare questi amici e di curare anche le ferite lasciate nel loro cuore da esperienze di esclusione e di abbandono». MM
La testimonianza di suor Sandra è parte della mostra “Missio Milano” esposta nella chiesa di Santo Stefano nei giorni del Festival.