In un libro di Matteo Zilocchi uno spaccato della penetrazione della criminalità organizzata nelle zone grigie della metropoli, del fiume di cocaina che dal Sudamerica arriva per rifornire lo spaccio all’ombra della movida. E il racconto di come il carcere può diventare l’occasione per cambiare strada davvero. Il 21 settembre la presentazione al Centro Pime in un dibattito con il sindaco Giuseppe Sala
«Qualche mese fa nel corso di un documentario televisivo sul carcere di Padova, un detenuto ha pronunciato una frase che mi è rimasta scolpita nella mente: “c’è tutta una vita dietro a un reato”. Credo che sia vero. E colui che in questo libro si protegge dietro al nome di Manuel ha tutta una vita da raccontare».
Il giornalista milanese Matteo Ziloccchi introduce così “All’inferno e ritorno”, il libro pubblicato dalle Edizioni San Paolo (p. 352, euro 22) in cui ripercorre il viaggio di un uomo “nella ‘ndrangheta, in carcere e verso una nuova vita”, nella Milano degli ultimi 40 anni. Uno spaccato della penetrazione della criminalità organizzata nelle zone grigie della metropoli, dei suoi sistemi economico finanziari di reclutamento, del fiume di cocaina che dal Sudamerica arriva per rifornire lo spaccio all’ombra della movida, raccontato in prima persona da un protagonista arrestato in una maxi-operazione. Fatti realmente accaduti, anche se presentati in una maniera tale da tutelare un percorso di presa di distanza e rinascita, ancora in corso. E che saranno al centro di una presentazione mercoledì 21 settembre alle ore 18,30 al Centro Pime di Milano (ingresso via Mosé Bianchi 94) che vedrà la presenza con l’autore del sindaco di Milano Giuseppe Sala, del direttore del carcere di Bollate Giorgio Leggieri e del responsabile dell’area educativa del carcere di Bollate Roberto Bezzi.
Perché il tema di “All’inferno e ritorno” non è solo la descrizione della presenza capillare della ‘ndrangheta a Milano e dei suoi affari. Il cuore vero del racconto è la domanda: che cosa porta un ragazzo “sveglio” della metropoli degli anni Ottanta, senza alcun legame di famiglia con le cosche calabresi, ad avvicinarsi a quel mondo e a infilarsi in un vortice che lo porterà anche a fare “carriera” nella criminalità organizzata? Che domanda c’era davvero dietro la sua rincorsa di uno “stile di vita” sempre più dispendioso che alla fine lo porterà ad abbandonare un lavoro sicuro per fare il salto verso il “giro grosso”, nonostante il tentativo iniziale della famiglia di tenerlo lontano da certi ambienti?
“Portandomi via da lì – dice Manuel nel libro – mia madre credeva di strapparmi a quel mondo. Ma quel bar non è solo un luogo, è uno stile di vita. Quello che ho scelto”. “All’inferno e ritorno” è appunto un’occasione per riflettere sulla città. Sulle alternative al dilagare della cocaina e delle notti estreme, che sono l’altra faccia di questo giro d’affari. E, insieme a questo, un’opportunità per riflettere anche sui percorsi grazie ai quali – in carcere – Manuel ha preso coscienza dell’inumanità di tutto questo. Sapendo che il passo più difficile per uscirne è iniziare a desiderare davvero una vita diversa.
Come scrive nella prefazione al libro il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho: “la criminalità si sconfigge innanzi tutto preparando i giovani alla vita e indicando loro i nostri migliori modelli da imitare. Scuola e famiglia sono i primi baluardi contro le mafie”. Anche nella Milano che troppe volte oggi fa finta di non vedere.