Oggi è la giornata mondiale dei migranti. Mentre è scontro a Bruxelles sulle politiche di accoglienza, l’Organizzazione mondiale del lavoro ha reso noti i dati del contributo dei lavoratori migranti nello sviluppo economico e sociale dei Paesi in cui sono inseriti.
Sono più attivi dei lavoratori nazionali. Il loro apporto è determinante per tenere in equilibrio il sistema pensionistico. I lavoratori immigrati sono 150 milioni in tutto il mondo. Lo rileva il nuovo studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro Ilo, Global Estimates on Migrant Workers («Stime mondiali dell’Ilo sui lavoratori migranti»). Secondo il rapporto diffuso ieri sui circa 232 milioni di migranti internazionali, 150,3 milioni sono lavoratori. I lavoratori migranti rappresentano il 72,7 per cento dei 206,6 milioni di migranti in età lavorativa (a partire dai 15 anni di età). La maggioranza dei lavoratori migranti sono uomini — 83,7 milioni, mentre le donne lavoratrici migranti sono 66,6 milioni. Secondo l’Ilo avere una panoramica precisa è un contributo essenziale per arrivare a politiche migratorie ben gestite.
La migrazione per lavoro è un fenomeno che riguarda tutte le regioni del mondo. Tuttavia quasi la metà dei lavoratori migranti (48,5 per cento) si concentra in due grandi regioni: l’America del Nord, e l’Europa (Nord, Sud e Ovest). I paesi Arabi contano la maggior presenza di lavoratori migranti rispetto al totale dei lavoratori, con una quota pari al 35,6 per cento.
Lo studio esamina anche la distribuzione della forza lavoro dei migranti secondo i principali settori economici. La stragrande maggioranza dei lavoratori migranti si trova nel settore dei servizi, con 106,8 milioni di lavoratori (71,1 per cento del totale dei lavoratori migranti); seguono l’industria — inclusa quella manifatturiera e delle costruzioni —, con 26,7 milioni (17,8 per cento), e l’agricoltura, con 16,7 milioni (11,1 per cento). Sull’insieme dei lavoratori migranti, il 7,7 per cento sono lavoratori domestici. Proprio questi ultimi, per il 73,4% donne, sono i meno tutelati.
Il lavoro domestico è uno dei settori economici meno regolamentati che richiama una particolare attenzione da parte dell’Ilo. La concentrazione di lavoratrici migranti e la scarsa visibilità dei lavoratori in questo settore spesso producono diverse forme di discriminazione.
In Italia la ricchezza prodotta dagli stranieri è pari a 125 milioni di euro e rappresenta l’8,6% del Prodotto interno lordo. E l’Europa, secondo l’agenzia Bloomberg avrebbe bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020, e di 250 milioni in più di cittadini entro il 2060 per tenere in equilibrio il sistema pensionistico.
«Le stime contenute nello studio dimostrano che la stragrande maggioranza dei migranti cerca migliori opportunità lavorative. Siamo conviti che, con l’utilizzo di una metodologia affidabile, aumenterà in modo significativo la nostra conoscenza del fenomeno migratorio e potremo disporre di una base solida su cui sviluppare politiche migratorie efficaci», dice Manuela Tomei, direttore del dipartimento dell’Ilo sulle condizioni di lavoro e l’uguaglianza (Workquality).
La nuova agenda di sviluppo delle Nazioni Unite ha fissato tra gli obiettivi la protezione di tutti i lavoratori, inclusi i lavoratori migranti (Obiettivo 8) e l’attuazione di politiche migratorie ben gestite (Obiettivo 10). E, secondo l’Ilo, avere a disposizione dati e una panoramica sempre meglio definita del lavoro dei migranti è un passo importante per raggiungere entrambi gli obiettivi. Una costatazione che appare scontata, ma che non lo è affatto. Tornare alla realtà senza farsi prendere da demagogia e scontri ideologici è una vera e propria sfida culturale, come dimostra anche oggi lo scontro fra governi europei al Summit dell’Unione europea a Bruxelles.