Dopo un anno di cammino di preparazione, la partenza per la Sicilia: «D’un tratto, mi sono sentita impreparata e impotente, finché ho capito che la mia missione era stare accanto ai bambini e farmi guidare da loro»
Dopo un anno di formazione con il cammino Q. B. – Quanto Basta, quest’estate sono partita per la mia missione in Sicilia. Insieme ad altri compagni di viaggio abbiamo raggiunto Modica, dove ci aspettava un magnifico trio: suor Dorina – comboniana e missionaria in Uganda per 25 anni -, padre Ottavio – missionario in Messico, fondatore della casa editrice Emi e nostra guida spirituale in quei giorni siculi – ed Elizabeth, con un sorriso grande e una risata contagiosa, missionaria in Ecuador. Ci hanno accolti in modo così naturale da farci sentire al posto giusto nel momento giusto. A loro sono infinitamente grata.
Dopo qualche giorno di assestamento, per me, Marta ed Elena iniziava l’avventura alla Casa Don Puglisi, una realtà che accoglie donne sole e madri con i loro bimbi. Qui abbiamo conosciuto Giulia, educatrice del centro e psicologa, che ci ha mostrato quanto un lavoro svolto con passione possa diventare missione. Mentre ci accompagnava alla struttura, ci raccontava i progetti rivolti alle donne per ritrovare la forza di ripartire e crearsi una propria casa, soprattutto interiore. Le madri lavoravano per costruirsi un futuro e noi saremmo state con i loro figli. L’intento era – ci ha spiegato Giulia con un guizzo negli occhi – di promuovere consapevolezza, dignità e autostima.
D’un tratto, mi sono sentita impreparata e impotente. Che cosa potevo fare io di fronte a situazioni tanto complicate? I timori si sono però dissolti non appena Giulia ci ha presentato i bambini. Nel giro di pochi secondi, si sono aggrappati al mio collo, sommergendomi di abbracci, richieste di stare in braccio, sulle spalle, di pettinarmi i capelli. Circondata da quella gioia non mi sono più preoccupata di essere capace o meno: la mia missione era stare accanto a loro e farmi guidare, anche attraverso le difficoltà. I primi giorni, per esempio, alcuni bambini – forse per difesa o paura – ci “sfidavano” con parolacce e gestacci. A poco a poco però, abbiamo conosciuto il passato e le fatiche dietro a quella freddezza e imparato ad accoglierla e a conviverci. Piano piano, ogni bimbo ha poi tolto la maschera dura dietro cui nascondeva il proprio bisogno di affetto, di ascolto, di gioco. Ha iniziato a sorriderci di più, a chiamarci per nome, ad aspettarci: a creare un legame. Tutto quel mondo meraviglioso e allo stesso tempo tremendo ci era entrato nel cuore. Alla sera, mentre tornavamo a casa, io, Marta ed Elena ci sorprendevamo a parlare ancora dei bambini!
A fine giornata, trascorrevo altri momenti preziosi, ascoltando i miei compagni di missione raccontare la loro esperienza: qualcuno aveva aiutato delle ragazze siriane a imparare l’italiano, qualcun altro aveva accompagnato un gruppo di disabili al mare. Ognuno di loro e delle persone incontrate a Modica – come Buba, scappato dal Gambia a 16 anni – mi ha consegnato un pezzo importante della sua storia, mostrandomi il suo modo di essere veramente “luce per il mondo e sale della terra”. Grazie a tutti.