In vigore da oltre un cinquantennio, la politica di limitazione delle nascite avviata dai nordvietnamiti e successivamente trasferita al Vietnam unificato comincia a dare segni di inadeguatezza e le autorità segnalano possibili modifiche.
Finora la regola è stata di massimo due figli per famiglia, un obbligo che non solo ha limitato fortemente le possibilità di scelta individuali e di coppia, ma che ha portato a un numero enorme di interruzioni della gravidanza e infine, data la preferenza della persistente tradizione confuciana per il figlio maschio, ha creato un sensibile squilibrio tra maschi e femmine.
I media ufficiali stanno però lanciando segnali di un prossimo cambiamento. Il quotidiano VietNam Express, tra gli altri, ha recentemente riportato con chiarezza i dubbi sull’efficacia della demografia di regime nella realtà attuale.
Il quotidiano ha anche anticipato alcune tendenze di evoluzione, in particolare riguardo la possibilità di scelta delle coppie. Una proposta della Direzione nazionale per la demografia che è stata accolta favorevolmente da analisti locali e stranieri, oltre che dalla Chiesa cattolica.
Sottolineata anche la necessità di rilanciare le nascite in un paese in via di sviluppo di 90 milioni di abitanti che necessita ora e per il futuro di una popolazione giovane per sostenere la crescita economica. Le decisioni, si sottolinea, non solo saranno in linea con i diritti stabiliti nella costituzione più che con le necessità di controllo del Partito comunista, ma anche con l’adesione del Vietnam alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di schiavitù riguardo alle donne.
Il tasso di crescita della popolazione lo scorso anno è stato di 2,09 figli per ciascuna donna in età fertile, appena sufficiente a garantire il ricambio demografico.