La tratta di persone per lo sfruttamento sessuale è un crimine sempre più nascosto anche per mancanza di interesse mediatico e dell’opinione pubblica. Ne parliamo l’8 febbraio, Giornata mondiale contro la tratta, al Centro Pime di Milano
Invisibili. Nella realtà ma anche nella rappresentazione. Sono le donne vittime di tratta e ridotte in schiavitù per lo sfruttamento sessuale, che sono (quasi) scomparse dalle strade italiane e anche dal racconto dei media e di conseguenza dal dibattito pubblico. Non sono però scomparse le vittime. Sono solo state trasferite altrove: dalle strade all’indoor – appartamenti, locali, connection house… – dove risultano, appunto, più invisibili. Il che non significa meno sfruttate. Anzi, a volte lo sfruttamento avviene in condizioni di vera e propria segregazione e di costante controllo, di abusi fisici e psicologici, aggravati dall’impossibilità di chiedere aiuto.
Il fenomeno, già in corso da alcuni anni, si è accentuato con la pandemia di Coronavirus. «I nostri dati – conferma il coordinatore del Numero Verde antitratta, Gianfranco Della Valle – ci dicono che la prostituzione di strada è in netto calo in tutta Italia e che sono sempre meno le donne nigeriane coinvolte nella tratta e nello sfruttamento sessuale, mentre sono aumentate le europee e le persone transessuali».
I dati, però – sia quelli delle emersioni che quelli delle mappature effettuate due volte l’anno dalle unità di strada – non dicono se tutte siano finite al chiuso.
Quel che è certo, però, è che il processo è tuttora in corso. Fra le ragioni, oltre al Covid-19, le ordinanze e le multe imposte dalle amministrazioni locali, specialmente nelle città medio-piccole, dove è più facile effettuare i controlli e dove sono rimaste in strada le persone più vulnerabili, in particolare donne rom e transessuali. Un’altra evidenza è la quasi scomparsa delle nigeriane, che oggi rappresentano solo il 20% di quelle individuate in strada. Sbarcate in maniera massiccia sulle coste dell’Italia tra il 2014 e il 2017 (23.500), oggi sono ancora presenti in modo significativo nel sistema antitratta: tra il 2016 e il 2022 ne sono state valutate quasi 11.000 e nel 2022 rappresentavano il 69,5% delle emersioni registrate dal Numero Verde. Emersioni che riguardano ancora oggi per la stragrande maggioranza soggetti femminili (80%).
Secondo Della Valle, «attualmente le donne nigeriane vengono costrette, specialmente al Sud, a prostituirsi nelle connection house; in parte, però, sono uscite dai circuiti dello sfruttamento perché hanno pagato il loro “debito”; alcune stanno facendo un lavoro prostitutivo saltuario e più “negoziato” con gli sfruttatori; altre ancora si sono trasferite altrove».
Il progressivo cambiamento del fenomeno della tratta delle nigeriane va riletto anche in combinazione con gli arrivi via mare: i nigeriani – donne e uomini – rappresentavano la prima nazionalità sino al 2017, dopodiché sono spariti persino tra le prime dieci.
Che fine hanno fatto, dunque, queste donne che per anni sono state trafficate lungo le vie del Sahara e che hanno vissuto l’inferno della Libia e l’attraversamento del Mediterraneo centrale? Certamente trafficanti e sfruttatori hanno modificato le rotte, orientandole soprattutto verso i Paesi del Golfo, dove i livelli di sfruttamento sono, se possibile, ancora più brutali e traumatici. «Probabilmente – ipotizza Della Valle – i gruppi criminali nigeriani le hanno “usate” anche per consolidare reti di traffici più redditizi, come quello di droga, arrivando a imporre la loro supremazia su molti mercati europei».
Attualmente sono soprattutto le persone transessuali sudamericane a essere vittime di tratta, mentre il fenomeno riguardante le donne dell’Est Europa, soprattutto romene e albanesi, presenta varie forme di coercizione, ma anche di negoziazione, con meno violenza rispetto al passato. Poi c’è tutto il mondo cinese, meno conosciuto e più difficile da valutare, anche perché quasi esclusivamente al chiuso, in appartamenti o centri massaggi, in cui spesso ci sono molto sfruttamento e segregazione.
«È difficile fare generalizzazioni: bisognerebbe valutare caso per caso. Anche gli operatori stanno cercando di adeguare il loro modus operandi e di usare varie modalità per contattare le vittime», specifica Della Valle.
Lo conferma anche Nadia Folli, che dal 2005 lavora per l’unità di strada Avenida di Caritas Ambrosiana (con cui ha iniziato da volontaria nel 2002): in vent’anni ha visto tutte le evoluzioni della mappa dello sfruttamento a Milano e hinterland: «È vero che la strada ha meno presenze, ma non si svuota mai – dice -. Cambiano zone, nazionalità, richieste del “mercato”, modalità di sfruttamento… I numeri sono oscillanti, ma di certo la prostituzione in strada non è mai scomparsa del tutto».
Anche a Milano, un fenomeno evidente è la diminuzione delle nigeriane: «Sono poche, adulte, quasi una prostituzione di “ritorno” o di sopravvivenza, con dinamiche che hanno a che fare con le regole della strada, dunque non nella totale libertà. Le nuove nigeriane, se così si può dire, oggi sono le persone transessuali sudamericane, vittime di tratta e costrette a prostituirsi anche durante il Covid-19 attraverso il meccanismo della restituzione del “debito”. Abbiamo riscontrato un forte flusso dal Perù, tanti arrivi di persone nuove e molti sieropositivi. In tanti casi, sono costretti a prostituirsi sia in strada che indoor, con situazioni di abusi, violenze e spesso di grave degrado abitativo».
In positivo, però, Folli segnala quella che definisce la “rivoluzione” di WhatsApp: «Ci aveva già aiutato a mantenere i contatti prima del Covid-19 ed è stata fondamentale durante la pandemia. Le videochiamate, ad esempio, hanno garantito una certa prossimità anche a distanza e ora ci permette di farci vicini anche quando non è possibile vedersi o incontrarsi».
«L’invisibilità – fa notare Della Valle – non sta solo nel trasferimento del fenomeno indoor, ma anche nello sguardo di chi guarda e non vuole vedere. O, peggio, nell’innalzamento del nostro livello di “tolleranza” rispetto a fenomeni come la tratta e il grave sfruttamento. Probabilmente oggi c’è meno tratta, ma c’è anche meno capacità di osservare, indagare e intervenire».