“Fortunata Bakhita Quascè. Una donna libera contro la schiavitù”. È il titolo del libro che verrà presentato domani mattina, 25 gennaio, a Roma e che racconta la vita è a dir poco straordinaria della prima missionaria comboniana sudanese, rapita da bambina dai mercanti di schiavi e riscattata da un sacerdote, padre Geremia da Livorno
Domani 25 gennaio, alle 11.30, in Sala Marconi a Roma, verrà presentato – in occasione della pubblicazione del numero della rivista Donne Chiesa Mondo dedicato alle missionarie – il libro “Fortunata Bakhita Quascè. Una donna libera contro la schiavitù” (ComboniFem). All’iniziativa promossa dalle Suore Missionarie Comboniane saranno presenti Raffaella Perin, docente di Storia del Cristianesimo all’Università Cattolica; Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire e direttore artistico del Festival della Missione; e Sr. Gabriella Bottani, smc. E ci sarà anche chi scrive, in veste di autrice del libro.
Ma chi era Fortunata Bakhita Quascè? Nata intorno al 1845 in un villaggio sui Monti Nuba, viene rapita da bambina dai mercanti di schiavi e riscattata da un sacerdote, padre Geremia da Livorno. Insieme ad altri piccoli africani, Fortunata nel 1853 giunge a Verona, all’Istituto Mazza. Diventerà la prima missionaria comboniana (Pia Madre della Nigrizia) sudanese.
Don Mazza vuole che le “morette” si sentano in famiglia nel suo istituto. A piccoli gruppi, vengono affidate a una “zia”, che funge da madre adottiva. Nel contempo, seguono un percorso di istruzione assolutamente speciale per l’epoca. Siamo nella seconda metà dell’Ottocento e Verona fa ancora parte dell’Impero Austroungarico. Solo le figlie dei ricchi possono permettersi un precettore privato, la scuola pubblica per le bambine del luogo resta ancora un miraggio. Fortunata viene battezzata e apprende l’italiano, l’aritmetica e il ricamo, senza trascurare l’arabo. L’idea è infatti quella di far tornare gli allievi africani, una volta cresciuti, nel loro continente per aiutare i missionari e formare nuove famiglie cristiane. Qui la storia di Fortunata e delle sue compagne si intreccia con il Piano per rigenerazione dell’Africa con l’Africa stessa (1864) di don Daniele Comboni. Visionario e geniale, il giovane sacerdote si era subito reso conto delle difficoltà che i missionari europei incontravano in terra africana. Quando non erano popolazioni ostili a metterli in difficoltà, ci pensavano virus e batteri. Serviva acclimatarsi lungo la costa e istruire dei giovani neri per portare il messaggio cristiano nell’entroterra. La missione non doveva essere composta di soli uomini, secondo Comboni: le donne erano fondamentali per costruire una nuova società. Inoltre, uno degli obiettivi era debellare la schiavitù. Affascinata dalle idee di don Comboni, Fortunata parte alla volta del Cairo, dove svolgerà per un periodo il suo lavoro di insegnante. Mentre in Italia la Congregazione femminile muove i suoi primi passi, Fortunata si sposta a El Obeid, sempre più vicino alla sua terra d’origine.
L’arrivo delle prime suore e la convivenza nel tempo innescano in Fortunata un cambiamento importante. Ha circa 38 anni quando è ammessa alla professione religiosa. Non è più una ragazzina, è una donna che sa quel che vuole e ha scelto la sua strada, senza alcuna costrizione. La sua gioia è turbata solo dalla scomparsa prematura di don Comboni, suo punto di riferimento spirituale, e dalle insistenti voci di guerra che circolano in Sudan. Un certo Muhammad Ahmad, che si professa discendente di Maometto, dice di aver ricevuto una rivelazione: lui è il Mahdi, il nuovo profeta. Gli occidentali e i missionari finiscono nel mirino, non solo perché infedeli ma in quanto oppositori della tratta, che arricchisce i suoi sostenitori. Nei due anni successivi, Fortunata sarà prigioniera dei mahdisti insieme alle sue consorelle e verrà sottoposta alle peggiori vessazioni per costringerla ad abiurare la sua fede. Non cederà mai, forte come una roccia, ma quando si presenta l’occasione per una fuga lei e una delle consorelle, travestite da schiave, attraversano il deserto insieme a un cammelliere e giungono al Cairo. Sono finalmente libere. Poco alla volta, Fortunata riprende la sua vita di prima come insegnante e catechista. La vicinanza delle sue studentesse la aiuta a dimenticare le atroci prove subite. Nell’ultima parte della sua vita, tuttavia, è chiamata a trasferirsi ad Assuan, dove sarà vittima di razzismo per il colore della sua pelle. La reazione dei suoi superiori sarà per lei un ennesimo dolore che, unito alle sofferenze precedenti, la porterà a una morte prematura nel 1899.
Coraggiosa ed eroica, Fortunata Quascè è una persona speciale. Una donna intelligente e colta per l’epoca, un’educatrice appassionata del suo lavoro, una missionaria consapevole del ruolo che il progetto di Daniele Comboni aveva previsto per lei come africana. Anche se le poche foto giunte fino a noi ce la mostrano con un volto severo – all’epoca, nessuno rideva davanti all’obiettivo – sicuramente era una donna dolce e accogliente, educata fin da piccola al dolore che può insegnarci a essere empatici con gli altri. Se non fosse stato così, avrebbe percorso altre strade: le sue scelte sono state all’insegna della libertà. A parte una lettera, non ci sono pervenuti testi scritti di suo pugno – allora, contava di più la voce degli uomini – ma non è difficile immaginare il trauma della prigionia mahdista e le ferite che può aver lasciato nel suo animo. I suoi aguzzini bramavano soprattutto alla sua conversione, perché lei era africana come loro. E con lei si sono accaniti ben di più che con le sue consorelle italiane. La sua morte e l’esigenza di archiviare l’esperienza della Mahdia, una pagina triste per la storia della Chiesa, hanno fatto sì che Fortunata Quascè sia stata a lungo dimenticata.
Grazie al meticoloso lavoro di ricerca di suor Maria Vidale, a cui ho potuto attingere, il libro presenta come un romanzo la vicenda di Fortunata, nel rispetto ferreo della verità storica. Come scrive suor Gabriella Bottani, coordinatrice internazionale di Talitha Kum fino allo scorso anno, «Fortunata è una compagna di cammino per tutte le Suore Missionarie Comboniane che hanno lottato contro la schiavitù e che oggi lavorano contro la tratta di persone». È ora di riscoprire la sua figura, che può essere anche un modello di empowerment femminile per le donne di oggi.
Chi desiderasse leggere il libro, è disponibile in formato elettronico a questo link