Nel vicariato di Mongo, la nuova missione del Pime si inserisce in un contesto quasi esclusivamente musulmano. Le priorità: testimonianza, accompagnamento delle minuscole comunità cristiane, condivisione e solidarietà con tutti
Distese sterminate di savana, piste sabbiose al limitare del deserto, spazi di vuoto e di luce abbacinante, che si arroventano sin oltre i 50 gradi: all’improvviso, uno sparuto villaggio, le ultime pozze d’acqua prima del grande secco, mandrie di mucche e cammelli che godono ancora per qualche settimana di questo bene raro e prezioso. La stagione della fame e della sete si avvicina minacciosa, prima delle piogge che lo scorso anno sono state devastanti. È una terra estrema quella del Centro-est del Ciad. Così come lo è la nuova missione del Pime nel vicariato di Mongo. Eppure proprio qui, in questo territorio grande una volta e mezzo l’Italia e quasi esclusivamente musulmano – con due preti locali (tra cui il vescovo), una dozzina di missionari e altrettante suore – l’immagine degli “estremi confini” perde qualsiasi connotazione retorica, per trovare concretezza e senso nella vita di persone che, ancora oggi, si dedicano alla missione nei suoi aspetti più essenziali e radicali: annuncio e testimonianza, accompagnamento delle minuscole comunità cristiane, condivisione e solidarietà con tutti.
Ad aprire la strada della nuova presenza del Pime è stato fratel Fabio Mussi, 74 anni di Lissone, un pioniere in molti contesti d’Africa (Costa d’Avorio e Camerun). È arrivato qui nel settembre del 2021 ed è stato raggiunto pochi mesi fa da padre Sleeva Palli, 43 anni, missionario indiano del Pime che, dopo 13 anni in Camerun, si è rimesso in gioco a Mongo, dove lo scorso 5 febbraio è diventato parroco della cattedrale. Per entrambi il lavoro non manca. «La parrocchia di Mongo è ricca di gruppi e iniziative – ci spiega padre Sleeva -. Poi ci sono le scuole da seguire e sei comunità sparse sul territorio, ciascuna con le sue caratteristiche ed esigenze da conoscere e accompagnare».
Quanto a fratel Fabio si è buttato nella nuova missione con il dinamismo di sempre, spendendosi su più fronti. «Sono partito con il freno a mano!», si schermisce. Ma la realtà parla di un’infinità di iniziative e cantieri aperti: perforazione di pozzi, costruzione di scuole, manutenzione di edifici spesso pericolanti, orti sperimentali in vista dell’avvio di un grande progetto agricolo che ha lo scopo di arginare la malnutrizione (e spesso la vera e propria fame). Come se non bastasse, il vescovo lo ha nominato economo e coordinatore delle attività sociali per le sei parrocchie del vicariato a cui fanno riferimento un centinaio di comunità. Il tutto su un territorio vastissimo che richiede lunghe ore di viaggio su piste dissestate e in località che in questi mesi soffrono per la siccità, ma che durante la stagione delle piogge sono totalmente isolate a causa degli allagamenti. «L’obiettivo è di inserirsi in quel solco di dialogo della vita e delle opere che ha sempre caratterizzato la presenza della Chiesa in questa terra, in cui i cristiani sono meno dell’1 per cento e quasi tutti provenienti da altre regioni. Il mio impegno, in particolare, consiste nel collaborare con tutti per far fronte alle sfide comuni dell’educazione e della sanità, della sicurezza alimentare e dell’accesso all’acqua».
Ad Am Timan, 265 chilometri da Mongo verso i confini con Centrafrica e Sudan, si vedono già i primi frutti. La parrocchia, che era stata originariamente affidata al Pime, è attualmente guidata da due fidei donum camerunesi. Incastonata nel cuore di questa cittadina, a pochi metri dalla moschea centrale, raccoglie una piccola comunità cristiana composta da funzionari inviati dallo Stato da altre regioni.
Le scuole, invece, raccontano di una felice convivenza tra religioni: gli studenti, infatti, sono quasi tutti musulmani, le cui famiglie apprezzano la serietà e la qualità dell’insegnamento. Fratel Mussi sta costruendo le aule del nuovo Liceo scientifico e letterario: alcune sono già state completate e diventeranno complessivamente dodici nell’arco di tre anni. Lì accanto, ha avviato un progetto-pilota di coltivazione della moringa e del fagiolo d’Angola, con il coinvolgimento di alcune vedove. «Sono tra le persone più vulnerabili in una società che è già estremamente fragile – spiega fratel Fabio -. Ma come tutte le donne sono anche le più affidabili. Con loro abbiamo avviato un “perimetro dimostrativo” che vorrebbe essere d’esempio anche per altre località. Coltiviamo a file alterne moringa e fagiolo d’Angola, due piante che si compensano reciprocamente. La moringa in particolare è straordinaria e ha proprietà nutritive eccezionali; vorremmo commercializzarla sia fresca che in polvere per combattere il drammatico problema della malnutrizione, ma anche per creare una fonte di reddito per le donne che la coltivano».
Ad Haraze – 150 chilometri da Am Timan e 6 faticose ore d’auto – il senso di isolamento e, per certi versi, di abbandono è ancora più grande. Siamo al confine con il Centrafrica, in una zona completamente inaccessibile per diversi mesi all’anno a causa delle inondazioni. Anche qui, una piccola comunità cristiana, una piccola chiesa e una piccola scuola. Tutto molto rudimentale, ma prezioso. Così come l’accompagnamento spirituale che padre Gilbert, il parroco di Am Timan, riesce a garantire una volta al mese a questi fedeli e a un piccolo gruppo di cristiani del vicino campo profughi di Moyo.
Fuggiti dalla guerra in Repubblica Centrafricana, sono qui dal 2011, senza possibilità di tornare indietro o di andare altrove. Vivono come sospesi in questa terra di nessuno. Ma nella loro assoluta precarietà hanno chiesto di avere una piccola chiesa dove potersi ritrovare e pregare. È un punto di riferimento che li fa sentire anche un po’ a casa. Qui dentro, al sorgere dell’alba, le loro preghiere e i loro canti raccontano di una fede semplice e vera che porta un po’ di luce e di speranza in un luogo che sembra dimenticato dal mondo.
Per supportare i progetti del Pime in Ciad, vedi: nondisolopane.centropime.org