Vengono da Costa d’Avorio, Camerun, Guinea-Bissau, India e Bangladesh i quindici nuovi missionari del Pime che saranno ordinati quest’estate
Quindici nuovi missionari pronti a partire per il mondo intero. È un’estate decisamente speciale quella che il Seminario del Pime si appresta a vivere quest’anno: la classe che arriva all’ordinazione sacerdotale è infatti la più numerosa dopo tanti anni. Ed è anche questo un segno di vitalità per il cammino in corso a Monza.
Finite le difficoltà dovute alla pandemia, non vi sarà un’unica ordinazione collettiva: ciascuno diventerà sacerdote in date diverse nella propria comunità di provenienza, in diocesi che si trovano in cinque nazioni differenti. In questo 2023, in cui ricorrono i 50 anni della presenza del Pime in Costa d’Avorio, ben tre sono gli ordinandi originari di questo Paese: Henri Michel Agniman, Hermann Patrick Kpi e Kouame Richard Tieoua. Altri quattro provengono dal Camerun: Pierre Bouiada Bouba, Hermann Nguekeng Tetou, Jean Chrysostome Engama Engama e Vivier Sikoua. In Guinea-Bissau ha mosso invece i primi passi della sua vocazione Gabriel Alberto Djata. Sei sono i nuovi missionari del Pime originari dell’India: Rayapureddy Kommareddy, Naresh Kothapalli, Joseph Peous Parappurath, Vamshi Ramineni, Vikram Reddy Thumma e Bala Showri Yaruva. Dulal Babu Tigga, infine, è del Bangladesh; lo stesso Paese di Roton Murmu, seminarista della diocesi di Dinajpur inviato dal suo vescovo a studiare nel Seminario di Monza insieme ai futuri missionari del Pime, che riceverà però l’ordinazione come sacerdote diocesano.
Tra questi volti non ci sono italiani; spesso però si tratta di vocazioni fiorite sulle orme della testimonianza di quanti dal nostro Paese sono partiti per annunciare il Vangelo.
«Ho deciso di diventare missionario dopo la cresima leggendo un libro sull’evangelizzazione della Costa d’Avorio – racconta per esempio Henri Michel -. Mi aveva colpito la storia dei missionari che hanno dato la vita per fare arrivare il Vangelo nel mio Paese. Quando sono andato al Pime, però, la prima risposta è stata un no…». Occorreva un percorso di discernimento, che ha compreso anche un anno in una missione lontano da casa, insieme a padre Dino Dussin. «In alcuni villaggi ho visto il missionario fare davvero di tutto: il sacerdote, certo, ma anche il muratore e persino un po’ l’aiuto-medico. Questo tipo di vita mi ha colpito profondamente; mi ha fatto vedere la bellezza del servizio al prossimo, nel nome di Gesù».
«Nel mio villaggio di Banigandilapadu, in India – racconta Naresh – dei missionari mi ha colpito la semplicità e la capacità di entrare nella nostra cultura vivendo con la gente. Oggi voglio condividere anch’io con gli altri quanto abbiamo ricevuto». «Sono nato a Suzana in Guinea-Bissau in una famiglia cristiana – aggiunge Gabriel Alberto -, nella mia parrocchia ho conosciuto i missionari del Pime. E con loro è cresciuto il mio desiderio di annunciare il Vangelo ai poveri e ai disprezzati, nutrito in Seminario dalla vita di preghiera, dall’apostolato e dallo studio».
Vivier invece viene dall’arcidiocesi di Garoua, nel Nord del Camerun. Faceva parte del gruppo dei chierichetti nella sua parrocchia, ma al Pime ci è arrivato attraverso le Missionarie dell’Immacolata. «Le ho viste vivere con la gente – ricorda -. Aiutano tutti, senza fare distinzioni di religione o di livello sociale; il loro unico obiettivo è far conoscere a tutti i popoli il Regno di Dio. Così un giorno mi sono avvicinato e ho detto che anch’io volevo fare lo stesso in qualche parte del mondo. E loro mi hanno presentato ai missionari del Pime».
Hermann, anche lui camerunese, a Yaoundé si era già laureato e lavorava in ospedale come biologo. Ma, intanto, con il gruppo dei giovani in parrocchia, preparava i ragazzi alla Messa presentando il Vangelo della domenica successiva. «Sono state le loro domande – spiega – a farmi conoscere di più la figura di Gesù e a far crescere in me il desiderio di consacrarmi a Lui». Nei dieci anni di cammino trascorsi da quell’inizio, però, molto è cambiato: «Ho capito che né io, né il mio diventare prete né la Chiesa stessa siamo all’origine della missione ma solamente Dio. E se prima ero molto preoccupato per le cose che in questa vita avrei dovuto lasciare, ora guardo a quanto ho trovato: dei fratelli, degli amici, delle persone che mi vogliono bene. E soprattutto la fede in Gesù, che ogni giorno cerco di custodire».
Guardando agli anni trascorsi nel Seminario di Monza c’è anche un altro momento che quasi tutti questi seminaristi giunti da angoli diversi del mondo sottolineano: l’importanza del servizio svolto in una parrocchia ambrosiana nei fine settimana. «Questa esperienza – spiega Bala, indiano della diocesi di Nalgonda, in Andhra Pradesh – mi sta facendo allargare gli orizzonti attraverso i piccoli servizi che sono chiamato a svolgere. A volte non è facile, perché non tutto va secondo le mie idee; ma il fatto stesso di dovermi adattare e imparare nuovi modi di agire è prezioso. E sentirmi accompagnato da una comunità mi ha donato una grande gioia».
I diaconi del Pime che diventeranno sacerdoti quest’estate hanno già ricevuto all’inizio di marzo dal superiore generale la loro destinazione. Alcuni partiranno subito per svolgere il loro apostolato in un’area di missione, che come accade nel Pime è sempre un Paese diverso da quello d’origine. Ci sarà dunque chi andrà in Brasile, Thailandia, Papua Nuova Guinea, Messico; ma ci saranno anche ordinandi destinati al Bangladesh, alla Costa d’Avorio e alla Guinea-Bissau. Altri neo ordinati inizieranno il loro cammino dedicandosi all’animazione missionaria in Italia e in Camerun, o alla formazione dei seminaristi più giovani in India. Infine, due nuovi sacerdoti del Pime sono stati destinati dalla Direzione generale a proseguire i loro studi: anche questo un servizio prezioso per la missione di domani.