Anche le strutture sanitarie in grande difficoltà, specialmente in Darfur, denuncia Medici senza Frontiere. L’inviato speciale Onu: «Nessuna delle due parti ha mostrato disponibilità a negoziare seriamente
È sempre più critica la situazione in Sudan, dove da sabato 15 aprile è in corso un conflitto armato tra l’esercito regolare, guidato dal presidente della giunta militare al governo, il generale Abdel Fattah Burhan, e il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (RSF), capeggiate dal vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti. Le ostilità tra i due erano iniziate con un durissimo scontro politico dopo che il governo di Burhan, nel dicembre 2022, aveva acconsentito a restituire il potere a un’amministrazione civile. L’accordo, tra le altre cose, prevedeva anche l’integrazione delle RSF nell’esercito regolare.
Gli scontri, cominciati nella capitale sudanese Khartoum, si sono poi estesi in altre zone del Paese, provocando circa 500 morti e migliaia di feriti. Solo tra sabato 22 e domenica 23 aprile sono state permesse le evacuazioni dei cittadini stranieri via nave da Port Sudan e via aerea dal piccolo aeroporto di Wadi Sednia, raggiungibile solo aggirando il centro della capitale, in quei giorni sotto il fuoco dei combattimenti. Sono centinaia i civili fuggiti dal Sudan, tra questi un centinaio di italiani, rientrati a Roma lo scorso lunedì. Sono rimasti nel Paese alcuni medici, infermieri e personale di Emergency e diversi missionari: in particolare i salesiani, che in Sudan si occupano di formazione, e i comboniani (tranne un sacerdote spagnolo anziano), che nel Paese hanno una lunghissima tradizione di presenza risalente al loro fondatore Daniele Comboni.
Sin dall’inizio del conflitto, anche le strutture sanitarie si sono trovate in grande difficoltà e molti feriti non sono nemmeno riusciti a raggiungerle. La situazione negli ospedali risulta essere particolarmente drammatica in Darfur, dove si sono registrati fin da subito moltissimi morti e centinaia di feriti. Qui si trova una delle strutture gestite da Medici Senza Frontiere (MSF), dove scarseggiano posti letto, in particolare per donne e bambini. E le forniture mediche disponibili potrebbero bastare solo per poche settimane.
«Dall’inizio dei combattimenti – dichiara il coordinatore del progetto MSF a El Fasher, Cyrus Paye – in città non c’è corrente elettrica e anche le scorte di carburante per il generatore dell’ospedale si stanno esaurendo. L’équipe chirurgica ci ha inviato la lista dei materiali di cui c’è urgente bisogno, e stiamo cercando un corridoio sicuro per consegnarli con le nostre due ambulanze. Senza queste forniture essenziali, altra gente morirà». Da qui l’appello di MSF per la sicurezza del personale medico e dei pazienti, oltre che per la protezione di tutte le strutture sanitarie, che non dovrebbero essere bersaglio del conflitto. MSF chiede inoltre l’accesso alle altre strutture ospedaliere per arginare le mancanze di attrezzature e per continuare a salvare vite.
La situazione però resta molto incerta e instabile. Solamente dopo lunghi negoziati si è arrivati a una tregua temporanea, che ha permesso ai civili di uscire di casa e procurarsi del cibo e acqua dopo molti giorni, anche se a Khartum non sono mai cessati del tutto gli scontri.
Secondo l’inviato speciale dell’Onu, Volker Perthes, il cessate-il-fuoco «tiene parzialmente. Tuttavia, nessuna delle due parti ha mostrato disponibilità a negoziare seriamente, e questo suggerisce che entrambe pensano che sia possibile ottenere una vittoria militare sull’altra. Questo è un errore di calcolo».