“L’incredibile storia di Olaudah Equiano”. È il titolo dell’avvincente autobiografia di un marinaio di origine nigeriana, che, affrancato dalla schiavitù, diventa paladino dei diritti dei neri e fervente cristiano, vissuto nel Settecento. Ora è riproposta in italiano
Quando pensiamo a navigatori, viaggiatori e marinai, da Cristoforo Colombo in poi i libri di storia ci hanno sempre raccontato le vicende di europei. Spagnoli, portoghesi, olandesi, poi francesi e inglesi si spinsero ovunque, tentando di conquistare a loro vantaggio ogni angolo del globo. Gli africani si ritrovarono nella parte dei viaggiatori loro malgrado, coinvolti nella tratta atlantica degli schiavi e portati a viva forza nelle Americhe sulle navi negriere. La vita nelle piantagioni era dura e finalizzata alla sopravvivenza. Saper leggere e scrivere era un lusso raro, quindi pochi ebbero la possibilità di raccontare per iscritto la propria storia.
Un caso straordinario è quello di un giovane originario dell’odierna Nigeria: Olaudah Equiano (1745-1797), diventato noto con il nome datogli dagli inglesi, Gustavus Vassa. Da schiavo al servizio dei suoi padroni a uomo libero, trascorse buona parte della sua vita a bordo delle navi come marinaio. Ma fu anche parrucchiere, cambusiere, piccolo commerciante in proprio e addetto alle consegne di merci. Probabilmente fu uno dei pochissimi africani a partecipare a una spedizione navale nel 1773 verso il Polo nord, alla ricerca di un passaggio a nord-est per raggiungere l’India. Equiano è però passato alla storia grazie alla sua abilità come scrittore. La sua autobiografia, intitolata “L’incredibile storia di Olaudah Equiano, o Gustavus Vassa, detto l’Africano” venne pubblicata per la prima volta in Inghilterra nel 1789. Fu un best seller: tant’è che venne tradotta anche in olandese e proposta anche negli Stati Uniti.
Per chi volesse leggerla in italiano, la casa editrice Occam ne propone ora una nuova edizione, con una postfazione di Giuliana Schiavi. È un libro sorprendente. Olaudah Equiano ha avuto certamente un’esistenza avventurosa, difficile, emozionante. Ma saperla raccontare per catturare i lettori richiede talento. E Olaudah ne ha, tant’è che il suo libro può rientrare nel novero di quei testi del Settecento che tuttora incantano, come “Robinson Crusoe” di Daniel Defoe. Attenzione, però: questa è un’autobiografia, una storia vera, non un romanzo. Equiano ci racconta la sua esistenza e il suo impegno contro la schiavitù, ed è una delle prime autobiografie di uno schiavo nero diventato libero.
Nato nell’entroterra nigeriano, nella valle di Essaka, fino all’età di undici anni vive con la famiglia, finché un giorno lui e la sorella vengono rapiti e venduti come schiavi ad altri africani. La schiavitù non era un’invenzione europea: in Africa esisteva da tempo e vedeva come vittime prigionieri di guerra o persone catturate con la forza come Olaudah. Quando poi il bambino finisce in mano ai negrieri, l’esperienza della traversata dell’oceano fino a Bardabos è un trauma. Catene, frustate, ambienti nauseabondi rendono la nave un incubo. Il passaggio successivo è in Virginia, dove viene comprato da un inglese e salpa per la Gran Bretagna. Forse per la sua giovane età, il ragazzino viene preso di simpatia e trattato con garbo. Ma il suo destino è ormai legato a padroni che di mestiere lavorano sulle navi o sono coinvolti nei commerci internazionali, e iniziano così per i lui i viaggi in mare. Fra una spedizione e l’altra viene anche battezzato a Londra: è un momento importante per Olaudah, che sarà per tutta la sua vita un fervente cristiano e passerà il tempo a chiedersi come mai cristiani come lui potessero schiavizzare i loro simili. Intanto, cresce e diventa un adolescente sveglio e curioso: vuole imparare a leggere e scrivere, e conoscere l’arte della navigazione. Nel contempo, sogna di raggranellare un po’ di denaro per riscattarsi e diventare un uomo libero. Ci riesce all’età di 21 anni grazie al suo ultimo padrone, un quacchero di Philadelphia che gli aveva consentito di svolgere qualche commercio in proprio per guadagnare.
Qui si apre una parte molto interessante della narrazione: un nero diventato libero, con tanto di documenti che lo attestano, nel Settecento può condurre una vita da uomo libero, come qualsiasi europeo? In teoria sì, ma in molti luoghi delle Indie Occidentali in cui finisce per trovarsi, i neri liberi sono oggetto di angherie e soprusi. Non hanno nessuna garanzia di non essere derubati durante i commerci perché la legge non li difende dalle prepotenze dei bianchi e molti finiscono per essere rapiti tornando a essere schiavi. Un vero inferno, da cui Olaudah riesce a scampare ogni volta per fortuna, per le sue conoscenze – ha una personalità gentile ed è benvoluto da molti – e per l’aiuto di Dio.
La sua fede, vissuta con grande coerenza, lo porta a essere disgustato dall’ambiente triviale delle navi, dalle bestemmie dei marinai e dei loro comandanti, ma non riesce a restare a terra a lungo. In una petizione che scrive alla regina nel 1788, da inglese nero e libero, chiede l’intercessione della sovrana per porre fine alla schiavitù e al trattamento disumano e ingiusto riservato ai neri nelle Indie Occidentali, fenomeno che lui aveva conosciuto in prima persona. In veste di abolizionista, Olaudah Equiano è estremamente pragmatico: secondo lui, l’abolizione della tratta trasformerebbe l’Africa in un grande mercato per le merci inglesi. La popolazione africana aumenterebbe e crescerebbe anche la domanda di beni e manufatti britannici. Insomma, se non vogliono agire contro la schiavitù per misericordia cristiana e per senso d’umanità, gli inglesi dovrebbero farlo per interesse economico.
Equiano non fa in tempo a vedere il suo sogno realizzato. L’abolizione della tratta in Gran Bretagna avviene nel 1807, dieci anni dopo la morte dello scrittore inglese nero. È l’inizio di un processo che porterà, poco alla volta, alla scomparsa di questo vergognoso fenomeno, almeno a livello normativo. Purtroppo non dello sfruttamento di un essere umano su un altro, che rende il libro di Olaudah Equiano di estrema attualità, anche a duecento anni dalla pubblicazione.