Crescono le case a Pakkret, la parrocchia affidata al Pime nella periferia della capitale thailandese. Ma crescono anche le persone che vogliono sentir parlare di Gesù. Il parroco padre Claudio Corti: «Il futuro della missione è in queste immense aree»
Venticinque chilometri dal centro di Bangkok in direzione nord. Per arrivare a Pakkret bisogna entrare in un’altra provincia, quella di Nonthaburi. Ma non te ne accorgi nemmeno: la distesa di case dell’immensa città non si ferma mai. Anzi, proprio qui, oltre la modernissima stazione appena costruita dalla Cina, la metropoli cresce a vista d’occhio, tra un arco con l’immagine dell’onnipresente re Rama X e l’ennesimo nuovo centro commerciale a due passi dalle baraccopoli.
«Quando arrivai per la prima volta in Thailandia, nell’aprile 1999, qui intorno non c’era nulla: solo la chiesa e la nostra casa. In vent’anni la zona si è popolata. Ma anche il lavoro missionario è cresciuto molto». La racconta così la sua comunità padre Claudio Corti, missionario del Pime di origini lecchesi. Dopo tanti anni trascorsi al Nord, tra le tribù dei monti, dal 2019 è il parroco di Nostra Signora della Misericordia, affidata ai missionari dell’Istituto dall’arcidiocesi di Bangkok. E oggi di una cosa padre Claudio è assolutamente convinto: «La sfida dell’evangelizzazione in Thailandia adesso si gioca qui, nella grande città».
Nel 1974 fu l’allora arcivescovo monsignor Michael Michai Kitbunchu – oggi 94enne – a volere una chiesa a Pakkret. Alla consacrazione venne in persona Bhumibol Adulyadej, il re Rama IX, padre dell’attuale sovrano, in veste di “protettore e sostenitore di tutte le religioni”. Inizialmente era un sacerdote diocesano thailandese a spingersi fino a Pakkret alla domenica per celebrare la Messa. Ma fu con i missionari del Pime che arrivò il primo parroco residente, padre Piergiacomo Urbani. «Sono stati lui e padre Raffaele Manenti, che mi hanno preceduto, a compiere un lavoro splendido con i catecumeni che qui ha portato frutti – racconta l’attuale parroco -. Hanno costruito una comunità di laici collaboratori ben formati: è attraverso di loro che raggiungiamo quanti chiedono di diventare cristiani. Ed è la strada che sto seguendo anch’io, sostenendoli e incoraggiandoli».
Tutto intorno, questa zona di Bangkok cresce a grande velocità. «Fisicamente ci troviamo in una posizione un po’ più elevata rispetto al resto del territorio – spiega padre Claudio – e questo conta in una città dove sono frequenti le alluvioni del fiume Chao Phraya. Qui non ci sono mai stati allagamenti, nemmeno nel 2011 quando la città è rimasta per tre mesi sott’acqua. Del resto siamo vicini a una grande base militare…».
Ad accogliere i fedeli in chiesa è una statua della Madonna posta sotto la guglia di una pagoda. Alla Messa domenicale la liturgia è animata, ciascun gruppo ha il suo compito. «Puntiamo molto sull’aspetto comunitario – commenta il parroco -. Questa chiesa non è nata in una realtà dove c’era già una comunità cristiana. È avvenuto il contrario: è stata la sua presenza a radunare le persone. La maggior parte della gente arriva qui in macchina da altre zone della città, per questo è importantissimo che qui si sentano partecipi».
«Siamo intorno ai 900 parrocchiani – continua padre Corti -: 700 thailandesi e 200 di lingua inglese, che vuol dire filippini ma anche diplomatici o funzionari di altri Paesi che sono per lavoro a Bangkok. Magari si fermano anche solo 3 o 4 anni, ma hanno una fede ammirevole, si danno molto da fare per trasmetterla ai figli. La struttura parrocchiale è doppia: sia la comunità di lingua thailandese sia quella di lingua inglese hanno il loro consiglio pastorale, il catechismo per i bambini, la catechesi degli adulti…».
Nell’arcidiocesi di Bangkok i cattolici sono circa 140 mila su 15 milioni di abitanti. «Non siamo pochi – commenta – e poi tutti riconoscono il grande contributo offerto alla società dalle nostre scuole, frequentate anche da tanti buddhisti». Proprio per questo la presenza dei laici oggi è fondamentale. «In un mondo come quello thailandese, dove il nazionalismo è tuttora forte, noi missionari restiamo identificati come stranieri. Anche se in realtà è un pregiudizio: oggi ormai nell’arcidiocesi di Bangkok le uniche parrocchie gestite da stranieri sono la nostra e quella di san Marco, dove c’è padre Adriano Pelosin. Tutte le altre hanno parroci thailandesi, diocesani o religiosi. E anche tra i missionari, la maggioranza è costituita da asiatici».
Far crescere una Chiesa dal volto thailandese, però, è importante soprattutto per raccogliere fino in fondo la sfida che Bangkok oggi offre. «Ho vissuto per quindici anni tra le tribù del Nord – racconta padre Corti -. La fede che è stata loro annunciata va conservata, ma oggi i villaggi si stanno spopolando: restano anziani e bambini. La maggioranza dei giovani e degli adulti sono qui o a Chiang Mai, oppure in Corea o a Taiwan. Il motto è lavorare tanto per guadagnare tanto e migliorare il proprio standard di vita. Fanno grandi sacrifici e solo grazie a questo riescono a costruire le case per i genitori nei villaggi o a comprarsi la macchina. Ma il rischio è perderli dal punto di vista della fede…».
Non ci sono solo loro, però. «Quando dico che la sfida sul futuro dell’evangelizzazione si gioca nelle grandi città – continua il missionario del Pime – penso anche alle nuove opportunità che offrono. Perché sono un ambiente che abbatte le barriere: in un villaggio dove tutti sono buddhisti, se inizi ad andare in chiesa diventi quello strano. In città, invece, è diverso». A Pakkret lo stanno constatando. «Lo Spirito Santo lavora e durante il Covid-19 lo ha fatto in maniera particolare – racconta il parroco -. C’è stato un periodo in cui ogni settimana arrivava qualcuno con la richiesta di conoscere Gesù. Tuttora accade di frequente: ci contattano anche su internet».
È solo una prima domanda, che poi va accompagnata. «Il cammino del catecumenato – spiega padre Corti – è esigente: ci si ritrova tutte le domeniche per almeno un anno, in alcuni casi anche due. E poi – una volta ricevuto il battesimo – un altro anno per la cresima. Che cosa li spinge a cercarci? Tante ragioni: alcuni sono stati all’estero e hanno visto delle chiese, rimanendo colpiti. Qualcun altro ha studiato da bambino nelle scuole cattoliche. Ma c’è davvero un po’ di tutto: per esempio trovi la persona che, cresciuta in un contesto buddhista, quando si è ammalata o ha avuto un altro bisogno ha provato a chiedere aiuto anche alla Madonna ed è stata esaudita. Quella diventa una domanda da verificare nelle sue motivazioni. Ma, più semplicemente, c’è anche chi ha visto che qui c’è qualcosa di bello e vuole capire». In Thailandia non è facile fare i conti con un mondo che intorno cristiano non è. «Devono essere aiutati a capire – commenta il missionario – come possono vivere la fede restando dentro al loro contesto. Se sono coppie suggeriamo di invitare sempre anche la parte buddhista alle nostre attività, perché l’aspetto della famiglia è fondamentale».
Con i catecumeni il dono più grande resta la freschezza del Vangelo. «Grazie a loro ci accorgiamo di quante cose diamo per scontate – racconta padre Corti -. Diciamo: “Comincia a pregare”. E giustamente ci chiedono: “Sì, ma che cosa devo dire?”. Partiamo sempre dalla Parola di Dio ed è bellissimo vedere la loro ricerca. Ciò che suggerisci di fare provano a metterlo in pratica. E ti accorgi che piano piano la loro vita cambia. Prima, magari, non erano interessati a nessuno e adesso incominciano a perdonare, a essere più pazienti con i nemici, trovano il tempo per pregare e stare con il Signore. Sì, a Bangkok lo Spirito sta lavorando, pur in mezzo a tutte le fatiche di una comunità cristiana ancora giovane».