Era il suo parroco quando entrò in seminario: oggi monsignor Udumala Bala è il vescovo della diocesi indiana dove per quasi 60 anni il missionario seminò il Vangelo e promosse tante opere educative. Che continuano con il sostegno della Fondazione Pime
In principio furono gli operai delle ferrovie degli inglesi: i primi a portare il Vangelo nella diocesi di Warangal nell’Ottocento sono stati i lavoratori tamil, arruolati per costruire la linea che collega Hyderabad a Madras. Lo racconta con orgoglio monsignor Udumala Bala, 69 anni, da dieci vescovo (il terzo) di questa comunità dell’Andhra Pradesh. Senza dimenticare l’altro legame imprescindibile per la Chiesa di Warangal: quello con i missionari del Pime.
«Quando nel 1952 fu istituita la nostra diocesi, monsignor Alfonso Beretta era il vescovo di Hyderabad, dal cui territorio venne ricavata. Decise di lasciare la diocesi più grande per venire a fare il vescovo in mezzo a noi. Un gesto inconsueto, da vero missionario», commenta monsignor Bala. Settant’anni dopo, il presule originario di questa terra oggi guida una Chiesa di circa di 75 mila fedeli in un’area rurale dove vivono 9,5 milioni di abitanti. Un piccolo seme, ma dal cui grembo sono già nate altre due diocesi: quelle di Kammam e Nalgonda. «Oggi hanno più fedeli di noi – sorride il vescovo – ma è la lezione che i missionari ci hanno insegnato: lavorare per stare in piedi da soli».
Di strada ne ha fatta davvero molta, Warangal, soprattutto sul sentiero tracciato da un altro grande missionario del Pime che qui ha svolto il suo servizio per quasi sessant’anni: padre Augusto Colombo. «Era il mio parroco quando sono entrato in seminario e anche quando sono stato ordinato sacerdote», si illumina l’attuale vescovo. Nativo di Cantù, in Andhra Pradesh dal 1952 fino alla sua morte nel 2009, padre Colombo per quest’angolo dell’India rurale è stato veramente tutto: il costruttore di chiese e cappelle, il motore di innumerevoli opere sociali, ma soprattutto l’ideatore di una rete di iniziative educative che oggi vanno dagli asili nido fino alla formazione di livello universitario. Ed è un impegno che prosegue a ormai quasi quindici anni dalla sua morte, anche con l’aiuto della Fondazione Pime che tuttora a Warangal ha attivi oltre 1.200 sostegni a distanza grazie ai propri benefattori.
In questo percorso un passaggio importante è avvenuto il 22 luglio scorso, con una cerimonia che ha visto diventare realtà il sogno di padre Colombo: l’istituzione in questa periferia dell’Andhra Pradesh di una grande università delle scienze mediche. Durante una Messa presieduta dal nunzio apostolico in India monsignor Leopoldo Girelli – insieme ai cardinali indiani Oswald Gracias, arcivescovo di Mumbai, e Felipe Neri Ferrao, arcivescovo di Goa – è stata benedetta la prima pietra del college per infermieri e paramedici, la nuova ala del Fr. Colombo Institute of Medical Science, della diocesi di Warangal, che comprende già un grande ospedale e la facoltà di medicina, entrambi voluti dal missionario del Pime.
La svolta era già avvenuta a marzo quando il governo indiano ha concesso ufficialmente il suo riconoscimento al Medical College, che così oggi è un’università a tutti gli effetti. Un sigillo non scontato in un Paese come l’India, dove per ragioni identitarie spesso le realtà sociali ed educative cristiane sono osteggiate. A testimoniare l’eccezionalità di questo atto è il fatto che si tratta solo della terza facoltà di medicina cattolica in tutta l’India: con i suoi 150 studenti che hanno iniziato il loro percorso di studi, va ad affiancarsi alla St. John’s National Academy of Health Science promossa dalla Conferenza episcopale indiana a Bangalore e al Fr. Muller Medical College della diocesi di Mangalore.
«Il 31 agosto 2022, nell’anniversario della morte di padre Colombo, avevamo già cambiato il nome: prima si chiamava Warangal Medical College, adesso è intitolata a lui. E credo che questo riconoscimento sia stato il suo primo miracolo…», sorride monsignor Bala. Che di grazie ricevute per intercessione di quello che fu il suo parroco, ormai ne ha viste tante. Perché padre Augusto resta un patrimonio di tutti a Warangal: «Vive nel cuore dei poveri – racconta monsignor Bala -. Anche molti non cristiani vengono a pregare sulla sua tomba: chiedono la sua intercessione per una malattia, ci sono state guarigioni anche di casi molto gravi. Lo invocano per avere figli, gli confidano le loro storie nel registro delle visite. Per questo motivo stiamo lavorando per l’apertura della causa di beatificazione. Tutti ricordano quanto padre Augusto ha fatto per la formazione dei giovani. Persino i politici locali nei loro discorsi citano il suo nome come motivo di orgoglio, un po’ come accade a livello nazionale in India con Madre Teresa».
Del resto padre Colombo in tanti anni di missione ha realizzato una grande quantità di iniziative per la promozione dei poveri: dall’azienda per la produzione del “riso del miracolo” alle banche rurali, dall’assistenza ai lebbrosi al lavoro artigianale per le donne. Nel campo dell’istruzione ha lasciato l’Institute of Technology and Science, che a Warangal ha formato migliaia di ingegneri. «Anche su questo padre Augusto 25 anni fa aveva visto lontano – commenta il vescovo Bala -. Il nostro capoluogo Hyderabad, a 120 chilometri da qui, è diventato un grande punto di riferimento globale per il mondo dell’high-tech e anche Warangal ha potuto beneficiarne. Sebbene molti degli ingegneri formatisi nell’istituto di padre Colombo abbiano preso la strada dell’emigrazione in Paesi lontani…».
Ma accanto alle opere sociali c’è l’impronta lasciata da padre Colombo nell’evangelizzazione con una grande attenzione al contesto locale. «Nella chiesa che costruì a Warangal – ricorda monsignor Bala – le immagini alle pareti erano il suo catechismo: raffigurano tutta la storia della Salvezza, dalla creazione, all’incarnazione fino alla seconda venuta di Gesù. I ragazzi bastava che si guardassero intorno. Impiegò artisti locali indiani perché voleva che le immagini fossero inculturate».
È un ambito in cui molto resta da fare: «Nelle nostre comunità siamo ancora troppo occidentalizzati, l’inculturazione procede in maniera troppo lenta – osserva il vescovo di Warangal -. Anche per questo per i fondamentalisti indù diventa più facile accusare noi cristiani di essere stranieri. Ma l’inculturazione deve essere un incontro autentico tra la fede e la nostra cultura. A volte si è preteso semplicemente di inserire nella liturgia gesti presi da altri contesti religiosi: così rischiamo di induizzare la nostra fede, non di renderla più inculturata. Vi sono aspetti nei quali abbiamo maturato una sensibilità indiana, per esempio il canto nella liturgia. Ma in altri ambiti come la teologia siamo ancora all’inizio».
Tra le eredità di padre Colombo c’è anche la sua spinta al primo annuncio del Vangelo, nonostante il clima pesante contro le conversioni religiose instillato oggi dalla difesa esasperata dell’identità portata avanti dai movimenti radicali indù. «Contro di noi non ci sono mai state violenze – rassicura monsignor Bala – ma qualche pastore protestante è stato colpito. Non vogliono che evangelizziamo e in alcuni Stati indiani prendono di mira ormai in maniera aperta le nostre scuole o strutture sociali. Vi sono state anche distruzioni di statue di Gesù o della Madonna o cappelle devastate. Stanno diventando più forti».
Ma l’annuncio del Vangelo è comunque una dimensione irrinunciabile per la diocesi di Warangal. Ad esempio nei villaggi dei banjara, i tribali che vivono sulle montagne del distretto di Mahabubabad. «Rappresentano l’8% della popolazione nel nostro territorio, ma restano ai margini – racconta il vescovo di Warangal -. Oggi abbiamo 15 parrocchie che si prendono cura di loro con scuole, ostelli, dispensari. Tante suore vivono in questa zona il proprio ministero. Abbiamo lanciato anche una campagna contro l’aborto selettivo delle bambine, che è molto diffuso in quest’area. Intanto cresce la devozione per la Madonna dei banjara, un segno molto bello per queste comunità».
«Dobbiamo continuare a raggiungere nuove persone, è la sfida più importante per la nostra Chiesa – conclude il vescovo -. Senza dimenticare anche quanti oggi in India economicamente stanno un po’ meglio e non hanno più bisogno del nostro aiuto materiale. Il Vangelo è parola di salvezza anche per loro».