Nei quartieri Nord di Marsiglia, feudo dei trafficanti di droga, si cresce tra emarginazione e violenza. Qui alcune realtà cattoliche hanno scelto di condividere la vita dei residenti, quasi tutti musulmani, per creare fraternità e promuovere sviluppo
Per accedere alla cité di Campagne-Lévêque, coi suoi palazzoni ocra di edilizia popolare, bisogna superare un posto di blocco informale presidiato da un ragazzino col cappuccio della felpa calato sul viso. Nei famigerati quartieri nord di Marsiglia, dove dall’inizio dell’anno si contano già una quarantina di vittime di regolamenti di conti tra bande di trafficanti di droga, lo Stato fatica a mettere piede. E sono gli chouf, al grado più basso del sistema dello spaccio, a controllare chi passa e a fare da vedetta in caso di visite inaspettate della polizia.
Mark, 22enne studente di ingegneria, circola senza problemi: tutti qui conoscono e rispettano Le Rocher, l’associazione cattolica con cui il giovane sta facendo un periodo di servizio civile in questa sorta di ghetto, abitato al 95% da persone di origine maghrebina e africana, in situazione di precarietà economica e sociale. Accanto a un casermone fatiscente spicca un campetto da calcio deserto: «Le mamme preferiscono non fare scendere i bambini a giocare perché temono che vengano coinvolti in attività illegali…», spiega Mark. Quando però ci sono gli operatori di Le Rocher, il cortile si riempie di ragazzi. «Dopo quindici anni, le famiglie si fidano di noi», racconta Arthur Belo, responsabile, con la moglie Tiphaine, della sezione marsigliese dell’associazione, nata per offrire interventi educativi e sociali nelle aree urbane più difficili della Francia.
Qui a Campagne-Lévêque le iniziative vanno dal doposcuola per i più piccoli ai pranzi settimanali con specialità cucinate dalle maman del quartiere, dall’assistenza per le pratiche burocratiche al caffè in strada per creare occasioni di convivialità con i residenti. Ma ci sono anche le visite in città – con ragazzi che a volte non hanno mai visto il porto vecchio di Marsiglia – e i campi estivi in campagna per gli adolescenti. Tutti modi per aprire gli orizzonti di giovani abituati ad avere meno opportunità dei coetanei, in un’area dove la disoccupazione tocca il 50%: «Vogliamo convincerli che anche loro valgono, che possono avere dei sogni». Arthur e Tiphaine sono arrivati due anni fa, con il figlio neonato al seguito, per una scelta maturata grazie alla fede: «Volevamo condividere la vita quotidiana di queste famiglie e creare legami di fraternità. Per noi questa è missione». E infatti la coppia, che oggi aspetta un altro bimbo, inizia ogni giornata con la preghiera: «Insieme ai volontari e ai collaboratori che lo desiderano facciamo mezz’ora di adorazione, partecipiamo alla Messa celebrata dal sacerdote della vicina parrocchia e poi proseguiamo con lodi e canti. Solo dopo cominciamo il lavoro». E anche se i residenti sono quasi tutti di religione musulmana, la comune fede in Dio rappresenta un fattore di vicinanza e confidenza. Non è un caso che, durante la recente visita di Papa Francesco a Marsiglia, Arthur e Tiphaine abbiano partecipato alla Messa allo stadio Velodrome insieme ai loro vicini di casa Arbana e Messahoud, musulmani.
Anche per sorella Francesca, sorella Anna e sorella Lara la cité di La Solidarité, nel XV arrondissement di Marsiglia, è «una frontiera missionaria». Le tre religiose abitano al 17esimo piano di uno dei palazzi colorati in cui vivono 3.500 persone, che oggi per la strada le salutano con un sorriso. Les italiennes fanno parte delle Discepole del Vangelo, un Istituto religioso nato nella diocesi di Treviso nel solco della spiritualità di Charles de Foucauld, e che da alcuni anni ha aperto una fraternità in questo angolo di Europa dove si incrociano, non senza fatiche, tanti pezzi di mondo. «Marsiglia è una città fatta di contrasti: è accogliente, solidale, ricca di culture diverse, ma la povertà è palpabile e l’integrazione non sempre facile», spiega sorella Francesca.
In mezzo a queste contraddizioni, lei e le consorelle hanno scelto di «offrire una presenza di preghiera e fraternità, che cerca di creare ponti attraverso l’amicizia». Sia nelle relazioni di vicinato, sia nel contesto professionale: sorella Lara, oltre a operare per la Pastorale giovanile, insegna in una scuola cattolica (in cui però la maggior parte degli allievi è di fede musulmana) ed è nell’équipe del Servizio funebre della diocesi, mentre sorella Anna è cappellana al vicino Hôpital Nord e in un ospedale psichiatrico. «In momenti di particolare dolore e vulnerabilità, cerchiamo di fare arrivare alle persone una parola di speranza», racconta.
Sorella Francesca, invece, affianca i catecumeni della diocesi: «Ogni anno vengono impartiti un centinaio di Battesimi a persone di contesti diversissimi e di ogni età», testimonia. Nel quartiere, poi, le religiose collaborano con i Missionari d’Africa, che gestiscono il vicino complesso parrocchiale di Saint Antoine – Notre Dame Limite. «Da qualche anno, in un locale della parrocchia al piano terra di un palazzo popolare, abbiamo dato vita a un corso di cucito e uncinetto per le donne, cristiane e musulmane: un luogo di amicizia e condivisione che abbiamo chiamato “La tenda di Abramo”». Qui si organizzano anche attività settimanali per i bambini delle elementari, che puntano sulla manualità e sull’arte «come strumenti per esprimersi e valorizzare le proprie potenzialità».
La stessa idea da cui è nata l’associazione Arts et Developpement, che porta artisti affermati nelle banlieue, per organizzare atelier di pittura e attività espressive, dalla danza alla musica. «La bellezza attira i ragazzi e permette di canalizzare le energie in attività che danno gioia», spiega Patrice Boulan, presidente di questa costola di Atd Quart Monde, realtà fondata negli anni Cinquanta dal sacerdote Joseph Wresinski nelle bidonville fuori Parigi. «Quando allestiamo tra i casermoni fatiscenti piccole mostre con le opere dei loro figli, anche i genitori del quartiere scendono incuriositi – racconta Boulan -. È un modo per riappropriarsi di spazi spesso percepiti come “off limits” perché feudo dei malavitosi».
Coltivare l’umanità e seminare la speranza laddove prevalgono violenza ed emarginazione: una sfida in cui si gioca tanta parte del futuro della nostra Europa.