Un manifesto presentato da una rete di istituti propone uno sguardo specifico sulle sfide del presente
«Rivolta verso l’altezza dei cieli e nel contempo verso gli abissi della terra, la teologia ci spinge verso le profondità del Mediterraneo, e ci costringe ad attraversarne le città, i porti, i luoghi di culto, le casbe, le porte…, là dove avviene il meticciato: frutto di incontri e di conflitti, di dialoghi e di compromessi, di accoglienza e di rifiuti».
Non è un lavoro astratto e teorico quello dei teologi: al contrario, tra di loro c’è chi avverte con forza la responsabilità di «non rimanere in silenzio di fronte alle contraddizioni, alle emergenze sociali e alle molte sfide che si propongono, soprattutto per i credenti» e su di esse prendere parola «con uno sguardo di fede». Lo afferma il “Manifesto per una teologia dal Mediterraneo” stilato in dieci lingue – tra cui l’arabo e l’ebraico – da una ventina di istituzioni di Paesi affacciati sul comune mare e presentato a Papa Francesco in occasione del suo viaggio apostolico a Marsiglia, il 22 e 23 settembre scorsi.
«Siamo chiamati a offrire una narrazione diversa del Mediterraneo, delle sue storie e dei suoi volti, per condividere con quanti incontriamo una lettura sapienziale, secondo la mistica della speranza, in solidarietà con tutti i naufraghi della storia, secondo uno stile evangelico di dialogo, relazionale e profetico», scrivono i teologi.
«È un Manifesto – spiega con una metafora padre Patrice Chocholski, direttore dell’Institut catholique de la Méditerranée di Marsiglia – che punta a incoraggiare la navigazione in un mare agitato da alte onde, e in cui tuttavia dobbiamo avventurarci senza paura dell’instabilità: stare fermi infatti significherebbe affondare». Padre Chocholski è tra i promotori di un cammino di confronto e scambio tra persone e discipline, in una rete che va dalla Francia al Marocco e all’Egitto, dal Libano alla Spagna, dall’Italia alla Turchia fino ai Balcani. Un percorso rilanciato dallo stesso Papa Francesco a Napoli, nel 2019, alla conclusione del convegno alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale, quando il Pontefice aveva esortato i partecipanti a scendere in campo per incontrare la gente «là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli».
Il direttore dell’Istituto marsigliese sottolinea la natura della teologia che definisce «dal Mediterraneo», perché – spiega- «sono i popoli stessi di questa regione che ci interpellano: popoli storicamente abituati al confronto, non rivolti verso l’entroterra ma affacciati verso le altre rive». Un’attitudine in linea con la visione cristiana, in cui «il logos si è fatto uomo in Gesù: Dio è dialogo e il dialogo è il luogo di Dio».
Dai popoli del Mediterraneo, «che hanno favorito il fecondo incontro tra le tradizioni di fede ebraica e cristiana e il pensiero greco-ellenistico» deve venire una teologia «“immersiva”, che si lascia toccare dalle ferite e dalle inquietudini che esprimono i contesti mediterranei» e «non neutrale, che ha nella logica dell’incarnazione e nel mistero della Pasqua i suoi architravi e riconosce nella storia non uno spazio meramente applicativo, bensì il luogo in cui comprendere il senso autentico dell’annuncio del Vangelo». Una teologia, dunque, che «non rimane insensibile al grido di dolore e alle richieste di giustizia che giungono dai tanti naufraghi della storia: da quanti sono sfruttati nel loro lavoro e umiliati nella loro dignità; da quanti sono privati del diritto di abitare la propria terra, spogliati della possibilità di un futuro. Suo compito è dare voce all’istanza profetica racchiusa nel grido dell’umanità che riecheggia quello del Cristo in croce».
Racconta padre Chocholski: «Durante i lavori preparatori, è stato interessante osservare le dinamiche nate dal contributo di rappresentanti di contesti molto diversi tra loro, specifici e allo stesso tempo complementari. Così, sulla questione delle migrazioni, un delegato del Marocco e uno della Sicilia si dicevano: “I migranti partono dalla mia terra e arrivano nella tua, se non ci parliamo tra noi non sapremo come aiutarli”. E lo stesso vale per le crisi climatiche, o per il grande tema di una cittadinanza inclusiva per le minoranze». Il professore in questo senso ricorda «il dramma dei cristiani in Iraq e le prove che devono affrontare in Nord Africa e in varie zone del Medio Oriente, così come la sfida della convivenza nelle nostre città».
Le potenzialità di uno sguardo «non più eurocentrico» diventano spinta a «fare rete con altre istituzioni teologiche e culturali, con le diverse realtà ecclesiali, religiose, culturali, ma anche con la società civile e la politica», sottolinea Chocholski. A Marsiglia è stato fatto il primo passo di un cammino che ora deve continuare.