Una vita per l’India

Una vita per l’India

Settantacinque anni fa, le Missionarie dell’Immacolata arrivavano in India. Suor Angelica Besana, 87 anni, ne ha passati ben 54 in Andhra Pradesh e in Telangana, lavorando come infermiera e poi stando vicino alle future consorelle della comunità

Solo la pandemia è riuscita a fermare suor Angelica Besana, missionaria dell’Immacolata, 87 anni, con alle spalle 60 anni di vita religiosa, di cui 54 in India. Nel 2020 era tornata in Italia per dei controlli di salute e a causa del Covid non è potuta rientrare per rinnovare il visto, ma se potesse, nonostante l’osteoporosi che la tormenta, prenderebbe un volo anche oggi per la sua amata India, dove la sua congregazione è presente da 75 anni.
La prima volta, nel 1966, era partita in nave: “Il 4 marzo io e un’altra consorella ci siamo imbarcate a Venezia e siamo arrivate dopo dieci giorni a Bombay”, racconta, utilizzando il nome della città prima che venisse cambiato in Mumbai. Da lì ha percorso altri 900 chilometri fino a Hyderabad, oggi capitale dello Stato meridionale del Telangana, ma che al tempo faceva ancora parte dell’Andhra Pradesh, e infine ha raggiunto Vijayawada. Dopo un primo anno per acclimatarsi e imparare l’inglese, suor Angelica ha lavorato per circa 17 anni in ospedale come infermiera. Quella con gli infermi è stata una “missione di compassione”, spiega la religiosa, ora residente presso la casa della congregazione a Monza. «Nel senso originario del termine di “sentire con“: con i malati smettevo di sentirmi straniera. Anche se non riuscivamo a fornire tutto quello di cui c’era bisogno ci sentivamo a casa. Gli indiani sono calorosi e accoglienti», continua suor Angelica, originaria della Brianza, con un sorriso che svela quanto le manchino i bisognosi dell’India. «Stando con i pazienti ho imparato il telugu, la lingua locale. Poi ho lavorato a Gudivada, Amalapuram e Vijayawada». I pazienti erano perlopiù poveri, di religione indù: «Noi cristiani ci contavamo sulle dita di una mano – aggiunge la religiosa – ma accoglievamo tutti».
L’ospedale era sempre affollato, alcune delle altre consorelle lavoravano come ostetriche, «perché c’erano sempre tanti parti e tantissimi bambini di cui prendersi cura». Alcuni di questi poi frequentavano la scuola locale gestita sempre dalle Missionarie dell’Immacolata, che a loro volta l’avevano “ereditata” dai padri del Pime, e poi hanno istituito anche una boarding school, alloggi per ragazze provenienti dalle aree rurali.
All’arrivo di suor Angelica in India c’era solo una consorella italiana, mentre tutte le altre erano indiane. E sono proprio le novizie locali a mancare di più oggi alla religiosa, che è stata superiora regionale, vice provinciale, consigliera e superiora della Provincia di Hyderabad. Su incarico dell’Istituto andava quindi a visitare le missioni e prendersi cura delle novizie e delle postulanti. «Ero un po’ mamma e un po’ nonna – prosegue a raccontare suor Angelica -. Dovevo accompagnare queste ragazze nel loro percorso di formazione. Avevamo così tante vocazioni al tempo!», esclama: «Dovevo stare loro vicina, e mi piaceva molto. Penso sempre a loro con soddisfazione e mi chiedo: chissà dove sono nel mondo ora? Tutto il fascino dell’India si rifletteva in queste ragazze provenienti dai contesti più diversi».

E così suor Angelica ha girato tutta l’India, dal Rajasthan a Nord, fino a Goa, lungo la costa occidentale a Sud, a Calcutta, oggi Kolkata, dalla parte opposta del Paese. Cambiavano le lingue locali e le tradizioni ma restava un’unica costante: le caste. «Le fasce inferiori si sentono la discriminazione addosso, la vivono ancora prima di entrare in contatto con le caste superiori», in un ciclo di emarginazione senza fine, commenta la missionaria. Eppure allo stesso tempo riescono a mantenere una loro dignità. «Una volta nel Rajasthan avevo appena finito una visita a una comunità di missionarie e sulla nostra porta è apparsa una giovane donna con due bambini. Ci ha chiesto se avevamo qualcosa da darle, ma con serenità, senza aspettarsi niente».
Al giorno d’oggi, invece, le divisioni etniche, sociali e religiose sono state portate all’estremo dopo la salita al potere, nel 2014, del Bharatiya Janata Party, il partito ultranazionalista indù da cui proviene anche l’attuale primo ministro Narendra Modi. Suor Angelica trova solo una parola per descrivere il presente momento storico dell’India: “Hopeless”, senza speranze. «Il problema non è tanto legato alla religione – afferma in riferimento alle violenze compiute dagli estremisti indù verso coloro che appartengono alle minoranze religiose, in particolare musulmani e cristiani -, ma è il modo in cui alcuni abusano della religione per compiere crudeltà, come quella più recente nel Manipur». Lo Stato nord-orientale è infatti dilaniato da scontri tra tribù indigene a partire da inizio maggio. Dipinte all’inizio come conflitto etnico e religioso tra le comunità kuki (in maggioranza cristiane) e meitei (perlopiù indù), le violenze sono in realtà scoppiate a causa di una diseguale distribuzione di sussidi e risorse da parte del governo centrale di Delhi.

Eppure, anche con tutti i problemi e le difficoltà dell’India, suor Angelica non avrebbe fatto cambio con nessun altro Paese. «Non vengo da una famiglia particolarmente religiosa e non posso dire di aver ricevuto la vocazione da qualche suora o missionario particolare, l’ho ricevuta da Dio». Però, a distanza di anni, un episodio appare oggi provvidenziale: «A una recita di Natale conobbi un padre del Pime, accompagnato da tre suore indiane che stavano studiando medicina in Italia. Non sapevo ancora in quale Istituto avrei voluto studiare e il mio padre spirituale dopo quell’incontro mi consigliò di andare in visita dalle Missionarie dell’Immacolata a Monza – spiega suor Angelica -. Credo che alla fine il Signore ottiene sempre quello che vuole se si è in sintonia con Lui e lo si ascolta».


MdI in India 75 anni di missione

Le Missionarie dell’Immacolata sono arrivate nel Paese nel 1948, anno della partizione con il Pakistan. Il 2 ottobre di quell’anno sei suore raggiunsero Gudivada e iniziarono la loro opera ma, a causa del caldo e delle condizioni sanitarie, due morirono nel giro di un paio d’anni di malaria e febbre tifoide. Tuttavia, senza lasciarsi scoraggiare, la congregazione inviò altre suore. Oggi ci sono 64 comunità.