Sono quasi 6 milioni gli italiani emigrati in tutti gli angoli del mondo. Con loro è cambiato anche il volto delle missioni cattoliche tra gli italiani all’estero, che sono sempre di più a fianco delle famiglie dei nuovi emigrati. Lo racconta, attraverso moltissime testimonianze dirette, il libro di don Massimo Pavanello, “Gli italiani nel mondo. E la Chiesa con loro”
«Qui in Germania, come tutti noi italiani, sono bilingue. Ma quando prego uso l’italiano. Ho la sensazione che, pregando in tedesco, il messaggio non raggiunga bene il Padreterno. Lo so che non è vero, ma io mi sento a mio agio così. E ho notato che anche altri giovani la vedono allo stesso modo». È cresciuta in una famiglia di italiani in Germania da quattro generazioni, Isabella Vergata Petrelli. Giovane ricercatrice universitaria di letteratura italiana e spagnola, vive a Gross Gerau in Assia dove è presidente del Consiglio pastorale italiano. Il suo è uno dei volti delle Missioni cattoliche italiane in Europa che don Massimo Pavanello, sacerdote dell’arcidiocesi di Milano con la passione per il giornalismo, presenta in un libro da poco pubblicato per Tau Edizioni in collaborazione con la Fondazione Migrantes. Gli italiani nel mondo. E la Chiesa con loro il titolo del volume (pp. 164, euro 15) che raccoglie una lunga serie di interviste ad alcuni cappellani di questi centri pastorali promossi dalla Chiesa italiana per gli italiani nel mondo ma anche a laici e famiglie che vivono in queste comunità.
Andate in onda sulle frequenze di Radio Mater in una rubrica che tuttora continua, offrono lo spaccato di un mondo che non è solo l’erede di una grande tradizione missionaria, ma anche una frontiera attualissima. Perché se a madre Francesca Saverio Cabrini, che sognava di partire per l’Oriente sulle orme del santo di cui portava il nome, Papa Leone XIII indicò come terra di missione l’America delle migliaia di emigranti italiani che vivevano in condizioni drammatiche, anche tanti giovani che partono oggi dal nostro Paese si trovano in contesti segnati da povertà materiali e di senso e spesso cercano una presenza amica. «La trasmissione ha aggregato un uditorio trasversale – racconta nell’introduzione don Pavanello -. Tanti sono emigrati anni addietro (in Belgio, in Germania…); molti altri hanno figli o nipoti che si trovano ora all’estero per lavoro o per studio. Del resto i dati lo confermano: oggi gli iscritti all’Anagrafe dei residenti italiani all’estero (Aire) sono 5,8 milioni, nel 2006 erano 3,1 milioni. Sono numeri che mostrano come la mobilità resti la risposta italiana a problematiche endemicamente gravi».
Ecco allora la presenza pastorale della Chiesa che anche in Svizzera, in Olanda o a Parigi e Londra parla italiano. «Attualmente le Missioni cattoliche italiane sono 366, presenti in 39 nazioni in tutti e cinque i continenti – continua don Pavanello -. Sono animate da oltre 670 operatori laici e laiche, consacrati, sacerdoti diocesani, religiosi, diaconi e suore. Vi sono sedi più storiche e altre più recenti. Resta fermo un fatto: sono comunità radunate, anche all’estero, per celebrare l’Eucaristia. Non sono in incognito».
Ciascuna di queste presenze ha il suo volto e il suo modo di far incontrare generazioni tra loro diverse. E anche popoli diversi. «Il nostro vescovo ci ricorda sempre che Bruxelles, dopo Dubai, è la città più internazionale al mondo», racconta don Claudio Visconti, sacerdote di Bergamo al servizio degli italiani in Belgio. Il suo impegno pastorale gravita intorno al Foyer Catholique Européen: «Fino agli Anni 70/80 – osserva – noi italiani eravamo abituati alla migrazione in senso classico. Oggi è meglio parlare di mobilità. Solo nelle istituzioni europee si parla di diecimila italiani che vi lavorano. Sono qui con le loro famiglie, ma poi magari si spostano perché trasferiti in altre città del mondo o perché ritornano in Italia». Ecco allora la sfida di essere comunque una Chiesa che trasmette la fede, accompagna i ragazzi ai sacramenti, è vicina alla vita quotidiana grazie anche all’impegno di tanti laici.
Presenze anche in uscita, come quella di Paolo Petrolillo, traduttore sposato con una spagnola, diacono permanente nella diocesi catalana di Terrassa. È una comunità giovane oggi anche quella degli italiani in Spagna: universitari del progetto Erasmus o impiegati nella ristorazione, famiglie che magari si fermano solo per qualche anno. Ma insieme a sua moglie, 13 anni fa, Paolo ha iniziato a essere presente anche in una frontiera del tutto particolare: le carceri di Barcellona.
Anche lì non mancano gli italiani: «Sono una quarantina – spiega -. Il porto è uno snodo commerciale e i traffici illeciti non mancano… Nel programma della comunità italiana ci vengono forniti i nominativi, così andiamo direttamente nelle sezioni a parlare con loro. Sono molto contenti di incontrarci. Anche perché alla situazione già drammatica della reclusione si aggiunge il fatto di trovarsi in un Paese straniero».
Le Missioni cattoliche italiane – scrive nella postfazione don Antonio Serra, coordinatore per l’Inghilterra e il Galles – «sono il segno della Provvidenza di Dio che, mediante i sacerdoti, i laici e la comunità nel suo insieme si fa migrante con i migranti e si manifesta attraverso storie concrete. Come Andrea che, vedendo per caso l’insegna della Missione di Londra, suona alla porta, viene accolto fraternamente e non appena entra in cappella scoppia a piangere dicendo: “Prima mi sentivo subito uno straniero, qui ho sentito subito il calore di casa”».