Badshah Khan, il Gandhi musulmano che fa paura ai jihadisti

Badshah Khan, il Gandhi musulmano che fa paura ai jihadisti

L’attacco di oggi all’Università di Charsadda, in Pakistan, ha un obiettivo ben preciso: insanguinare nell’anniversario della sua morte la memoria del maggiore testimone musulmano della non violenza. Citato come esempio anche da Malala Yousafzai

 

Nella catena spaventosa di attacchi jihadisti che in questi ultimi dieci giorni hanno colpito sempre Paesi musulmani quello di questa mattina in Pakistan, all’università di Charsadda (a 50 chilometri da Peshawar), assume un rilievo del tutto particolare per l’obiettivo prescelto. Al di là del tributo di sangue tra gli studenti e i docenti – che si annuncia alto – l’intento chiaro è quello di colpire la memoria di una figura, poco conosciuta in Italia eppure di grande importanza all’interno del mondo musulmano pachistano. L’università in questione è infatti intitolata a Badshah Khan, un grande testimone di pace del XX secolo, a cui l’ateneo è intitolato e di cui proprio oggi ricorre l’anniversario della morte, avvenuta nel 1988.

Badshah Khan è considerato il Gandhi musulmano, non solo per il contesto in cui è vissuto, ma anche per il fatto che con il mahatma indù si conoscevano e si stimavano a vicenda. Il suo vero nome era Abdul Ghaffār Khān, ed era nato nel 1890 in una famiglia pashtun che viveva nell’area di Peshawar, nel nord-ovest dell’allora India britannica. Era il figlio del khan, un capo villaggio, molto rispettato. E il suo percorso è molto simile a quello di Gandhi: riceve un’educazione nelle migliori istituzioni inglesi, ma senza perdere il legame con le proprie radici. E girando per i villaggi intraprende la via della promozione sociale per il popolo dei pashtun, che si scontra presto però con i metodi coloniali degli inglesi. Ed è in questo contesto che Badshah Khan (il re dei khan) – come i pashtun cominciano a chiamarlo – matura l’intuizione che non è la vendetta inscritta nell’antico codice d’onore, ma la rivolta non violenta la risposta più forte all’ingiustizia.

È un percorso che matura sull’esempio di Gandhi, ma con una profonda identità islamica: «Musulmano – diceva – è colui che non ferisce mai nessuno ne’ con parole ne’ con azioni e lavora invece per il benessere e la felicità delle creature di Dio. La fede in Dio è amore del proprio compagno». Su queste basi nel 1929 fondò i Khudai Khidmatgar, il primo esercito non violento della storia, che arrivò a contare 80 mila pashtun tra le sue fila. E si scontrò con una repressione inglese ancora più dura rispetto a quella che colpì l’India di Gandhi.

Questo era il giuramento che Badshah Khan aveva scritto per chi sceglieva di entrare a far parte del suo esercito non volento.

Sono un khudai kidmatgar (servo di Dio), e poiché Dio non ha bisogno di essere servito, ma servire la sua creazione è servire lui, prometto di servire l’umanità nel nome di Dio.
Prometto di astenermi dalla violenza e dal cercare vendetta.
Prometto di perdonare coloro che mi opprimono o mi trattano con crudeltà.
Prometto di astenermi dal prendere parte a litigi e risse e dal crearmi nemici.
Prometto di trattare tutti i pathan come fratelli e amici.
Prometto di astenermi da usi e costumi antisociali.
Prometto di vivere una vita semplice, di praticare la virtù e di astenermi dal male.
Prometto di avere modi gentili ed una buona condotta, e di non condurre una vita pigra.
Prometto di dedicare almeno due ore al giorno all’impegno sociale

La vita di Badshah Khan fu lunga e complessa, come la storia della decolonizzazione dell’India. Lui si batteva contro la partizione, che portò alla nascita del Pakistan. E per questo fu accusato di tradimento dai nuovi uomini forti dell’ex India Occidentale, che temevano il suo attivismo in favore dei più poveri. Trascorse in carcere trent’anni, un terzo della sua vita, e sette in esilio, ospite politico del governo afghano, ma non cessò mai di sostenere i principi dell’amore e del servizio, senza rancore per nessuno (per una presentazione più approfondita della sua vita leggi qui)

Badshah Khan è morto il 20 gennaio 1988 ma non è un affatto un eroe dimenticato tra i pashtun. E molti musulmani di tutto il mondo amano ricordarlo come l’esempio di una via islamica alla non violenza. Significativamente lo ha fatto anche Malala Yousafzai, la ragazzina pachistana insignita nel 2014 nel premio Nobel per la pace per il suo coraggio nella sua battaglia in favore dell’istruzione per le bambine, portata avanti nonostante il gravissimo attentato subito. Proprio nel discorso in occasione della consegna del premio Nobel Malala citò Badshah Khan come una sua fonte di ispirazione.

Con l’assalto all’università di università di Charsadda oggi l’islam radicale ha mostrato ancora una volta chi sono i suoi nemici più temibili: quei musulmani che operano per la giustizia, rifiutando ogni forma di violenza. Quelli che – in Occidente – colpiamo una seconda volta quando cancelliamo ogni differenza rifiutandoci di capire che è l’islam la prima vittima delle bandiere nere dell’Isis.