È il Paese da cui proviene il maggior numero di migranti sbarcati in Italia nel 2023. E che si trova nuovamente in una situazione di instabilità politica e di tensioni sociali. Scioperi e proteste nella capitale Conakry
La Guinea-Conakry è di nuovo alla deriva. Il 20 febbraio scorso, infatti, il governo militare della Guinea ha annunciato il suo dissolvimento senza darne le motivazioni. Il segretario generale della presidenza, Amara Camara – affiancato da altri ufficiali militari e da diversi soldati armati e mascherati – è apparso in un video preregistrato in cui si è rivolto alla popolazione. Il governo, di natura provvisoria, era in carica da luglio 2022 ed era stato formato dall’esercito dopo il colpo di Stato del 5 settembre 2021 quando i militari avevano arrestato il presidente, Alpha Condé. Solo otto giorni dopo, è stato nominato un nuovo capo del governo, l’economista Amadou Oury Bah.
Intanto, però, nella capitale Conakry sono scoppiate proteste e scontri, anche a seguito di uno sciopero generale il 27 febbraio, proclamato da tredici sindacati del Paese, e sostenuto dai principali partiti politici e organizzazioni della società civile, che chiedevano la riduzione dei prezzi dei generi alimentari, la fine della censura sui media e il rilascio di Sekou Jamal Pendessa, segretario generale dell’Unione dei professionisti della stampa della Guinea (SPPG), arrestato a fine gennaio per aver partecipato a una protesta non autorizzata. Le proteste sono, infatti, vietate da quando l’esercito ha preso il potere. Scuole, negozi, mercati e strade sono rimasti chiusi per tre giorni e gli ospedali hanno offerto solo servizi essenziali mentre i giovani hanno eretto barricate sulle arterie stradali. In alcuni quartieri periferici sono scoppiati violenti scontri e due giovani sono stati uccisi. Anche i funzionari del governo – a cui sono stati sequestrati i passaporti e congelati i conti bancari – hanno appoggiato la protesta in corso. «Questo sciopero costringerà le autorità a capire che non sono degli dei sulla terra – ha dichiarato un funzionario del ministero -. I guineani sono stanchi della sofferenza creata e mantenuta dai nostri leader».
La Guinea, ex colonia francese indipendente dal 1958, conta 13 milioni di abitanti e da tempo vive una situazione politica alquanto instabile che – unitamente a stagnazione economica, vulnerabilità al cambiamento climatico, carenza del sistema scolastico e fragilità di quello sanitario – vede un flusso migratorio verso l’Europa stabile dal 2016, ridotto solo nel 2020 e 2021 a causa della pandemia di Covid-19. Ma secondo i dati del ministero dell’Interno italiano, nel 2023 la maggior parte dei migranti giunti in Italia vengono proprio dalla Guinea (18.221). A seguire Tunisia (17.322), Costa d’Avorio (16.005), Bangladesh (12.169), Egitto (11.072), Siria (9.547), Burkina Faso (8.414), Pakistan (7.642), Mali (5.938) e Sudan (5.834).
All’epoca del golpe del 2021, il video di Condé sequestrato dai soldati era circolato sui media locali e in diretta nazionale era apparso il tenente colonnello Mamady Doumbouya – capo delle forze speciali militari della Guinea ed ex ufficiale legionario francese – avvolto dalla bandiera e circondato da altri uomini in divisa che criticava la cattiva gestione del governo civile e ne giustificava il rovesciamento. «Non affideremo più la politica a un solo uomo, ma al popolo; amiamo tutti la Guinea, è tempo per noi di comprenderci, darci la mano e sederci per scrivere una nuova costituzione che si adatti alle nostre realtà e che risolva i problemi del Paese, basti guardare lo stato delle nostre strade e dei nostri ospedali».
«Sappiamo che un colpo di Stato non va bene – raccontava a quel tempo Mamadou Saliou Diallo, un guineano che vive in Senegal -. Un presidente deve essere eletto con un voto democratico. Ma noi non avevamo scelta. Avevamo un presidente troppo vecchio, che non faceva più sognare i guineani e che non voleva lasciare il potere». Infatti, per le strade in alcuni quartieri di Conakry c’erano stati festeggiamenti tra la popolazione, con centinaia di persone che applaudivano i militari.
Condé era stato leader dell’opposizione e nel 2010 era diventato il primo leader democraticamente eletto della Guinea, vincendo la rielezione nel 2015. Tuttavia, il malcontento nei suoi confronti nacque dal controverso tentativo di ottenere un terzo mandato presidenziale. Infatti, dopo essere uscito vittorioso dalle elezioni del marzo 2020, aveva fatto approvare tramite referendum costituzionale il rinnovo della sua candidatura.
Il suo principale sfidante Cellou Dalein Diallo e altri esponenti dell’opposizione avevano denunciato l’elezione come una farsa. Negli scontri con le forze di sicurezza durante le manifestazioni contro il nuovo mandato di Condé decine di persone erano state uccise e centinaia arrestate, tra cui anche diversi esponenti di spicco dell’opposizione per il loro presunto ruolo di istigazione e favoreggiamento delle violenze post-elettorali. Ciò ha provocato una vera e propria diaspora degli oppositori di Condé che tuttora sono rifugiati nel vicino Senegal.
Il colpo di Stato era stato condannato dalla comunità internazionale e il colonnello Doumbouya aveva promesso di restituire le redini del governo a civili eletti entro la fine del 2024. Anche la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas), il principale blocco economico e politico della regione, aveva esercitato forti pressioni sui militari affinché organizzassero elezioni e ripristinassero il governo civile: nell’ottobre 2022 avevano concordato un periodo di transizione di 24 mesi. Periodo che, però, è terminato in anticipo, lasciando i guineani senza una chiara visione di chi guiderà il Paese.