La diocesi di Vijayawada ha festeggiato il centenario di un santuario nato in Andhra Pradesh nel 1924 e diventato un segno di pace e di incontro tra le religioni
Se a Kharubanga una missione del Pime sta costruendo la sua chiesa, in un altro Stato indiano c’è una comunità che proprio quest’anno fa memoria del centenario dei suoi primi passi. Succede nella diocesi di Vijayawada – una delle 12 Chiese locali fondate dai missionari dell’Istituto in India – che lo scorso 11 febbraio con una grande festa ha celebrato il secolo di vita del santuario di Mary Matha a Gunadala, un luogo molto caro alla devozione della popolazione locale che lo considera come una “Lourdes dell’Andhra Pradesh”. Per l’occasione, il vescovo diocesano monsignor Thelagathoti Joseph Raja Rao insieme a migliaia di fedeli hanno accolto il nunzio apostolico in India monsignor Leopoldo Girelli che ha presieduto una solenne celebrazione eucaristica a cui era presente anche padre Ferruccio Brambillasca, il superiore generale del Pime.
Fu padre Paolo Arlati (1898-1971) – missionario dell’Istituto originario di Merate (Lc), che svolse il suo ministero in India per ben 42 anni – a far arrivare su questa collina nel 1924 una statua della Madonna di Lourdes che aveva portato con sé dall’Italia. A lui era stato affidato il compito di avviare l’orfanotrofio dedicato a San Giuseppe e una scuola su un terreno di 25 acri da poco ottenuto. La Vergine – posta da padre Arlati in una nicchia di una grotta naturale sulla collina – vegliò su quei primi passi, accompagnando con le sue grazie la fioritura di questa Chiesa locale.
Con l’aiuto della gente che ripulì questo angolo di foresta e l’opera sapiente dei missionari laici fratel Carlo Bertoli e fratel Luigi Crippa, quello che all’inizio era solo un piccolo luogo di devozione, anno dopo anno si è trasformato in un complesso dove i pellegrini raggiungono il santuario dopo aver contemplato nel loro percorso i misteri del Rosario e le stazioni della Via Crucis. Qui ogni anno affluiscono decine di migliaia di persone, non solo dall’Andhra Pradesh ma anche dal Telangana, dal Karnataka, dal Kerala, dal Tamila Nadu, gli Stati vicini. Alcuni percorrono in ginocchio la lunga scalinata. E quando arrivano davanti alla statua della Madonna, mutuando la tradizione indù, spesso offrono una ciocca dei propri capelli, insieme a noci di cocco, ghirlande di fiori e bastoncini di incenso.
Oggi il Pime non è più presente nell’area di Gunadala: secondo il carisma dell’Istituto, le opere realizzate sono state affidate alla Chiesa locale cresciuta intorno ai missionari. «Sono le generazioni di cristiani che loro hanno battezzato – spiega il vescovo di Vijayawada, monsignor Raja Rao -. Perché qui il Vangelo ha portato frutti: insieme ad Eluru, la nostra diocesi sorella, oggi formiamo una comunità di 700 mila cattolici».
Ma monsignor Raja Rao parla soprattutto della vera e propria «rivoluzione culturale» che la devozione alla Madonna di Gunadala ha portato in questo territorio. «La gente va a Gesù attraverso la materna intercessione di Maria: viene qui a invocare grazie chiedendo la guarigione, il dono dei figli, il lavoro e tanti altri doni. E il santuario è un luogo che raduna fedeli di ogni religione, perché Maria, la Madre di Gesù, è benedetta anche da non cattolici e non cristiani. Mary Matha è un centro di evangelizzazione e un punto di unità tra tutte le religioni».
Del resto a testimoniarlo è anche un’altra pagina di storia del santuario di Gunadala che padre Piero Gheddo – per tanti anni direttore di questa rivista – amava ricordare: il 1947, l’anno dell’indipendenza, in India fu anche la stagione delle lotte sanguinose fra indù e musulmani che provocarono milioni di morti e portarono alla divisione con il Pakistan. Anche Vijayawada era una città con una folta comunità musulmana. Eppure qui non si verificarono le stragi fratricide con gli indù: proprio la devozione alla Madonna di Gunadala aveva creato un clima di fraternità che permise di mantenere la pace anche in quei giorni così difficili.
Durante la celebrazione dell’11 febbraio anche il nunzio monsignor Girelli ha voluto ringraziare i missionari e le suore del Pime per il ministero che ancora svolgono nella Chiesa dell’India. «Noi veneriamo il Signore Gesù come nostro Salvatore e come Redentore, perché è lui che ci guarisce – ha aggiunto il presule, facendo riferimento alla devozione mariana così radicata a Gunadala -. Ma guardiamo anche a Maria come Corredentrice, con la sua cura per quanti sono malati e per chi è nel dolore».
Da parte sua il superiore generale del Pime, padre Brambillasca, ha voluto esprimere la gioia dell’Istituto per questo anniversario attraverso un messaggio affidato alla diocesi di Vijayawada: «Costruire un santuario mariano vuol dire prima di tutto affidare l’opera di evangelizzazione a Maria – ha spiegato – ma nello stesso tempo significa anche pensare a un luogo di preghiera dove ciascuno, senza eccezioni, possa affidare le proprie preoccupazioni, desideri e preghiere a Dio, per il tramite di Maria nostra madre».
«Spero che questo santuario mariano di Gunadala – ha concluso – continui a essere un luogo di preghiera e possa continuare a diffondere quello spirito missionario che i nostri primi missionari hanno testimoniato in questa terra indiana. Possa essere, inoltre, un luogo dove le vocazioni missionarie continuino a nascere per il mondo intero, come è stato per Maria, che ha donato il suo Figlio. Possa Maria, Stella dell’Evangelizzazione e regina degli Apostoli, proteggere tutti quanti vengono a pregare a questo santuario di Gunadala, e donare loro gioia, pace, serenità e unità».