Tutti i parlamentari hanno votato a favore della legge che prevede il carcere a vita contro le “insurrezioni” e poteri eccezionali per la polizia. Entrerà in vigore il 23 marzo. Una prova di forza del capo del governo locale John Lee: «Giornata storica. Ci deve essere un Paese, prima di due sistemi»
AsiaNews – È arrivata oggi a Hong Kong l’approvazione definitiva della contestata Legge sulla sicurezza nazionale, l’ulteriore stretta sulle libertà per reprimere reati politici come “il tradimento” e la “sedizione”. Alla fine – su un disegno di legge di oltre 200 pagine pubblicato appena 11 giorni fa e già discusso a tempo di record in prima lettura la scorsa settimana – è bastata una sola seduta per farla passare nello stesso giorno anche in seconda e terza lettura al Consiglio legislativo, il parlamento locale. Tanta era l’urgenza di “proteggere” Hong Kong dalle “interferenze esterne”. E soprattutto l’urgenza di evitare quanto avvenuto nel 2003, quando un dibattito vero all’interno della società civile portò in piazza centinaia di migliaia di persone, che costrinsero il governo di allora a ritirare un provvedimento che di fatto rende impossibile il dissenso, esattamente come accade nella Cina continentale.
Con la benedizione della Reèpubblica popolare cinese ha imposto ora la prova di forza il capo del governo locale John Lee, l’ex capo della sicurezza, fedelissimo di Pechino. Non ha nemmeno cercato di salvare le forme attenendosi alle procedure consuete del Consiglio legislativo, che comunque interamente controlla dal momento che dopo le ultime elezioni del dicembre 2021 vi possono sedere solo figure “patriottiche”. Questo nonostante nelle ultime elezioni vere di Hong Kong – quelle per i consigli distrettuali del 2019 – le forze pro-Pechino fossero uscite sonoramente sconfitte dal voto popolare.
Alla fine la legge sull’articolo 23 – l’articolo della Basic Law che sollecitava Hong Kong a dotarsi di una propria normativa sulla sicurezza nazionale – è stato approvato con 89 voti a favore e nessuno contrario. Senza, per esempio, porre alcuna obiezione al fatto che in una discussione su un tema così delicato non vi siano state audizioni del mondo giudiziario, come avviene normalmente al Consiglio legislativo. Ma questa legge andava approvata nel più breve tempo possibile e con il maggiore sostegno possibile. In una vera e propria farsa, durante la discussione di oggi tutti e 88 i membri del Consiglio sono intervenuti per dichiarare il loro sostegno alla legge. E con l’ottantanovesimo – il presidente dell’assemblea Andrew Leung, che per procedura solitamente non vota – che non ha voluto essere da meno e questa volta ha aggiunto anche il suo voto.
Se serviva un’ulteriore prova di quanto ogni parvenza di democrazia sia stata soffocata ormai a Hong Kong, proprio questo iter legislativo l’ha offerta. John Lee stesso ha voluto essere personalmente in aula per prendere la parola subito dopo il voto, a suggello del “momento storico”. «Questa legge – ha detto – è necessaria per difendersi dalle persone che invadono le nostre case. Abbiamo bisogno di strumenti efficaci contro la violenza nera e le rivoluzioni colorate. Con la nuova legge non dovremo più preoccuparci delle persone che distruggono le infrastrutture pubbliche».
Hong Kong si era «incamminata sulla strada sbagliata» – ha aggiunto – prima che Pechino nel 2020 (dopo le imponenti manifestazioni pro-democrazia sfociate solo in alcuni casi in atti di teppismo dopo le manganellate della polizia ndr) imponesse la legge sulla sicurezza nazionale. «Dobbiamo comprendere correttamente che ci deve essere un Paese prima di due sistemi e che i due sistemi non devono essere usati per resistere a un Paese». Messaggio chiarissimo sullo smantellamento delle garanzie che sulla carta la Basic Law – la legge che ha normato il ritorno dell’ex colonia britannica alla Cina nel 1997 – avrebbe dovuto garantire attraverso la formula “un Paese, due sistemi”.
Dal 23 marzo, dunque, a Hong Kong diventa legge l’innalzamento fino al carcere a vita delle pene per reati come il “tradimento” e l’”insurrezione”. E come vengano interpretati questi termini a Hong Kong lo sta mostrando con chiarezza il processo attualmente in corso a Jimmy Lai, il fondatore del quotidiano Apple Daily, additato a ogni udienza come un “cospiratore” semplicemente per aver sostenuto la domanda di democrazia.
La legge eleva poi a 14 anni la possibile reclusione per il reato di “sedizione”, che è l’addebito contestato a centinaia di manifestanti in questi ultimi anni. Ma – soprattutto – compromette gravemente le libertà personali fondamentali, elevando fino a 14 giorni i termini per il fermo di polizia e concedendo persino la facoltà di revocare il diritto all’assistenza di un avvocato nelle prime 48 ore. In poche parole: contro quelli che identifica come reati contro la “sicurezza nazionale” la polizia di Hong Kong d’ora in poi potrà fare praticamente qualsiasi cosa. Perché nessuno osi tornare più in piazza come nel 2019.