All’Arena di Pace, anche il gesto di un israeliano e un palestinese che hanno entrambi perso un proprio caro nel conflitto di Gaza. «Il peccato dei regimi politici finiti nelle dittature – ha detto il Pontefice – è non ammettere la pluralità: solo una società dove si affontano i conflitti e si dialoga ha futuro»
«Invisibili grani di polvere per bloccare la macchina infernale e costruire giustizia e pace», li ha definiti don Luigi Ciotti, presidente dell’Associazione Libera contro le mafie, presentando questa folla al pontefice. E proprio il gesto potente di Maoz e Aziz – insieme ad alcuni video-appelli inviati da alcune donne del movimento israeliano Women Wage Peace e del palestinese Women of the Sun – hanno dato il tono della mattinata trascorsa dal pontefice con quei “movimenti popolari” che ha più volte indicato come profezia di un mondo più giusto, a partire dai piccoli e dalla vita concreta delle persone.
Accanto a lui era seduto il missionario comboniano padre Alex Zanotelli, per tanti anni voce degli ultimi nelle periferie del Kenya e volto storico del pacifismo italiano. E poi sul palco – insieme a tante realtà impegnate sui temi della partecipazione, della cura dell’ambiente, del lavoro, del disarmo, delle migrazioni – hanno portato la loro esperienza anche l’afghana Mahbouba Seraj (che ha denunciato «l’illusione e il fallimento di una pace che si voleva imporre dall’alto») e Vanessa Nakate, giovane attivista per il clima ugandese e dom Pedro Stedile, del movimento brasiliano dei senza terra.
In un dialogo serrato durante il quale ha spesso abbandonato il testo preparato per aggiungere a braccio il proprio pensiero, Francesco ha denunciato piaghe come il lavoro minorile, gli affari del commercio delle armi, l’indifferenza («il Premio Nobel che potremmo dare a tanti di noi è quello del Ponzio Pilato»). «La pace non si inventa da un giorno all’altro, va curata – ha aggiunto indicando la strada di un dialogo che non anestetizza o rimuove i conflitti: «Non avere paura dei conflitti è la ricchezza della società . Il dialogo ci aiuta sempre, ma non per rendere tutto uguale. Il peccato dei regimi politici finiti nelle dittature è non ammettere la pluralità. Una società senza conflitto è una società morta, solo una società dove si prendono i conflitti per mano e si dialoga è una società che ha futuro».
«Siamo entrambi imprenditori – hanno detto da parte loro al papa l’israeliano Maoz Inon e il palestinese Aziz Abu Sarah – e crediamo che la pace sia l’impresa più grande da realizzare. Non ci può essere pace senza un’economia di pace, un’economia che non uccide. Un’economia che non produce guerra, ma si basa invece sulla giustizia. Ma come possono essere i giovani imprenditori di pace quando i luoghi di formazione sono influenzati dai paradigmi tecnocratici e dalla cultura del profitto ad ogni costo?».
Papa Francesco non ha risposto direttamente a questa domanda, ma ha invitato a guardare «all’esperienza di questi due fratelli, che è la sofferenza dei due popoli. Loro – ha aggiunto – hanno avuto il coraggio di abbracciarsi. Il loro non è solo coraggio e testimonianza di pace; abbracciarsi è anche un progetto di futuro. Ambedue hanno perso i familiari, la famiglia si è rotta per questa guerra. A che serve? Facciamo silenzio e guardando quest’abbraccio ciascuno preghi e decida dentro di sé di fare qualcosa per farla finita con le guerre».
Il Papa ha ricordato anche le sofferenze dei bambini ucraini, «che hanno perso il sorriso». Quelle degli anziani «che hanno lavorato tutta la vita per portare avanti i loro Paesi e adesso vedono una sconfitta storica, una sconfitta di tutti noi. Preghiamo per la pace e diciamo a questi fratelli che portino questo nostro desiderio della pace ai loro popoli».
Ha ribadito anche la sua convinzione che «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite», ma “nelle mani dei popoli, nella loro capacità di organizzarsi» dando voce al cambiamento. «Voi, però, tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa – ha detto ancora il Papa – chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non da ideologie: le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell’altro. La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti».
«Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato – ha aggiunto -. Le nostre civiltà stanno seminando morte, distruzione, paura. Invece seminiamo speranza. È quello che state facendo anche voi, in questa Arena di Pace. Non smettete. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile”. Come diceva il vescovo Tonino Bello – ha concluso – “In piedi costruttori di pace”».