Dopo l’assalto al Parlamento dello scorso 25 giugno e la violenta reazione delle forze dell’ordine, che ha provocato una quarantina di morti, proseguono le proteste a Nairobi, in Kenya. L’analisi di Gian Marco Elia, presidente dell’associazione Amani che da trent’anni opera a favore dei bambini di strada
Nonostante il presidente William Ruto abbia ritirato la contestata legge finanziaria, che prevedeva un aumento delle tasse per una popolazione che già fatica a sopravvivere, continuano le proteste a Nairobi e in altre città del Kenya. Una mobilitazione che vede in prima fila soprattutto i giovani della cosiddetta GenZ e i Millenials, che hanno indetto “7 days of justice” (7 giorni di giustizia), coinvolgendo migliaia di persone grazie ai social.
«È stata una settimana durissima. Non era mai accaduto niente del genere in Kenya. Di manifestazioni negli anni ce ne sono state tante, ma nessuna è mai stata come questa», racconta da Nairobi Gian Marco Elia, presidente di Amani, un’associazione milanese che da trent’anni sostiene i progetti a favore di bambini di strada di padre Renato Kizito Sesana.
«Quello che sta succedendo è il risultato delle richieste inascoltate della popolazione. Questo ha portato la protesta alla sua massima espressione», spiega Elia, che fa notare come non da oggi la popolazione del Kenya sia esasperata. La pandemia di Covid-19, infatti, ha contribuito a rendere ancora più fragile il Paese e la sua economia che si fondava in gran parte sul turismo, che non è ancora tornato ai livelli del passato. Secondo Elia senza il turismo rimane ben poco per rimpinguare i bilanci dello Stato. Le difficoltà economico-finanziarie hanno ingigantito il debito pubblico, che ammonta a oltre 80 miliardi di dollari, che il governo ha cercato di estinguere in ogni modo, facendo però ricadere tutto sulle spalle dei cittadini. Quando martedì 25 giugno la nuova legge di bilancio è stata votata in Parlamento «più velocemente di quanto fosse mai successo: in sole due ore – ha specificato il presidente di Amani – questo ha scatenato proteste ancora più massicce». Ne è seguita la violenta reazione delle forze dell’ordine, che ha provocato l’uccisione di 39 persone, il ferimento di almeno 361 e l’arresto di oltre 600.
Ora i manifestanti chiedono le dimissioni di Ruto. «Era visto come l’uomo che avrebbe dovuto portare il cambiamento, e ai tempi delle elezioni è stato votato da moltissimi giovani che credevano alle sue promesse di risollevare le sorti del Kenya – analizza Elia -. Questa generazione, però, è molto più attenta, informata e consapevole delle necessità del proprio Paese, e non è più disposta ad accettare un potere che si impone in modo irrazionale, alimentando se stesso e puntando unicamente ad arricchirsi». Questo si è visto anche nelle azioni di saccheggio che hanno preso di mira, in particolare, esercizi commerciali di proprietà di membri del Parlamento.
Ruto, tuttavia, è apprezzato dalla Banca Mondiale e positivamente riconosciuto da parte di altri leader del mondo (è stato invitato anche al G7 tenutosi recentemente in Italia). I suoi concittadini, però, lo chiamano “Zakayo”, termine swahili che significa Zaccheo, l’avido esattore delle tasse della Bibbia, considerato un traditore.
«È proprio qui che sta la differenza con le proteste e gli scioperi degli anni passati- continua Elia -. Queste manifestazioni sono della gente e sono trasversali. Anche se in maggioranza sono i giovani ad aver preso in mano la situazione, anche medici, avvocati, giornalisti e persone di ogni ceto sociale sono scesi in strada a manifestare. «Il loro è un vero e proprio rifiuto nei confronti della classe dirigente incapace di ascoltare. Le tasse imposte dal governo sono irrealistiche e non vengono usate per scuole e sanità. Serve davvero un cambio di rotta». Anche perché
Il presidente di Amani ricorda come in passato molti giovani venivano strumentalizzati (e anche pagati) da politici potenti e corrorri per protestare e creare disordini. «Ora però le cose sono cambiate, e il senso di giustizia che si percepisce è molto maturo e non è più legato alle appartenenze tribali. Sono giovani usciti da poco tempo da condizioni di povertà che non vogliono vedere interrotto il loro processo di affermazione».
Tra le persone in prima linea, racconta Elia, c’è anche Auma Obama, sorellastra di Barack Obama. Ma sono tante le figure che si sono fatte portavoce della causa dei cittadini, ancor prima dell’approvazione e del successivo ritiro della legge finanziaria. Anche i vescovi cattolici del Paese, ad esempio, avevano già diffuso un appello il 7 giugno, in cui mettevano in luce quanto la legge avrebbe ulteriormente impoverito la popolazione. «Chiediamo al governo di imporre un sistema di tasse che miri alla crescita economica, e non uno che gravi eccessivamente sulle persone più povere e vulnerabili. […] Chiediamo ai membri del Parlamento di prestare attenzione alle urla della gente, e di rivedere i contenuti della Legge Finanziaria 2024», avevano scritto i vescovi.
Ma mentre Gen Z continua a organizzare scioperi e raduni, Amani cerca di portare avanti le sue attività a favore dei bambini di strada, che spesso vivono negli slum, dove «la gente sopravvive e basta. I nostri progetti non hanno subito particolari ripercussioni, ma nei giorni scorsi non siamo potuti entrare in contatto con i bambini che abbiamo iniziato a incontrare in questi ultimi mesi, nella speranza di convincerli a lasciare la strada. Nairobi è ancora presidiata dalla polizia».
Difficile dire cosa potrà succedere ora. «La situazione è fluida – conferma Elia -: sembra però che l’intento sia quello di proseguire negli scioperi pacifici. Passando per il centro di Nairobi ho visto grandi scritte sui muri contro il presidente e contro il governo. Non si erano mai viste prima». E lì accanto, anche gli slogan dei manifestanti: “Non vogliamo più un Kenya diviso tra ricchi e poveri: stiamo lottando per il cibo di tutti”.