Nella squadra olimpica dei rifugiati, ci sono anche due giovani iraniani, Iman Mahdavi e Hadi Tiranvalipour, che in Italia hanno trovato una patria di adozione. E la possibilità di allenarsi per arrivare alle Olimpiadi
Le Olimpiadi offrono spesso storie di coraggio e di riscatto. Come quelle di due giovani iraniani che sono dovuti fuggire dal loro Paese e hanno trovato in Italia la possibilità di rifarsi una vita attraverso lo sport. Sino a qualificarsi allo Olimpiadi di Parigi 2024, dove hanno gareggiato nella squadra dei rifugiati.
Iman Mahdavi è uno di loro. Nato in Iran nel 1995, è arrivato nel nostro Paese nel 2020, percorrendo la rotta balcanica. Oggi vive a Pioltello, nell’hinterland di Milano, dove ha incontrato quello che chiama il suo «papi italiano», l’allenatore Marco Moroni, della Lotta club Seggiano, che lo ha preparato nella sua disciplina, il wrestling maschile nella categoria dei 74kg. La sua routine (4 ore di allenamento al giorno, ogni giorno), gli ha permesso di qualificarsi per Parigi. La sua passione per la lotta libera nasce grazie al padre, a sua volta un wrestler, che lo ha iniziato allo sport fin da quando aveva 10 anni. Oggi Mahdavi è un atleta di altissimo livello, che prova a ripagare anche i tanti sforzi fatti dal padre.
Quando non si allena, però, Mahdavi lavora come buttafuori in un nightclub, per poter praticare il suo sport. Entrare a far parte della squadra dei rifugiati è stato per lui un vero onore. «In allenamento indosso la maglia della squadra dei rifugiati, e con orgoglio dico a tutti che sto rappresentando i milioni di profughi che ci sono nel mondo – ha dichiarato -. Ci sono state molte difficoltà, ma ora le ho accantonate e sono completamente concentrato sulla mia preparazione. Non sto realizzando solo il mio sogno, ma anche quello di tutti gli altri rifugiati. Spero di poter fare loro da modello e di dare loro la speranza che raggiungere ciò che si desidera è possibile».
Purtroppo ieri, 9 agosto, Mahdavi ha perso il suo primo incontro, l’ottavo di finale alla Champ-de-Mars Arena. Ma ha avuto comunque la possibilità di mandare un messaggio che per lui ha un’enorme importanza: mostrare alle future generazioni che ogni sfida si può superare e che le possibilità di riscatto, anche per chi ha dovuto lasciare il proprio Paese, esistono.
Hadi Tiranvalipour, invece, ha una passione per il taekwondo da 20 anni – e lui, oggi, ne ha 26. Fin da bambino il suo idolo era un atleta iraniano, Hadi Saei, che vinse il suo primo oro nella disciplina alle Olimpiadi di Atene del 2004. Da quel momento, Trianvalipour ha promesso a se stesso che sarebbe arrivato sin lì. «E dopo 20 anni, il mio sogno olimpico è diventato realtà e sono davvero felice. Mi piacerebbe davvero ottenere una medaglia, come ha fatto lui», ha dichiarato l’atleta iraniano, riferendosi a Saedi.
Tiranvalipour ha praticato il taekwondo in Iran per otto anni, prima di dover lasciare il Paese dopo aver parlato nel suo programma tv delle condizioni delle donne iraniane. Oggi vive a Roma e si allena nel Centro di preparazione olimpica del Coni, al fianco dell’atleta italiano Vito dell’Aquila, campione in carica nella categoria dei 58kg, e nuovo modello per Hadi Tiranvalipour. «È uno dei migliori lottatori di taekwondo al mondo. Gareggiamo nella stessa categoria e ci scontriamo sempre. Anche quando sono stanco, lui riesce sempre a motivarmi. Se voglio inserire il mio nome tra quello dei campioni olimpici, devo continuare a impegnarmi senza scuse», ha dichiarato. Si trova benissimo in Italia perché la Federazione di questo sport è tra le migliori in Europa, e per lui rappresenta un’ottima opportunità di crescita.
Il giovane atleta iraniano non si monta, però, la testa, e sta continuando a studiare, in vista di un futuro dopo la carriera sportiva, la quale – sostiene – prima o poi finirà. Per ora, però, per Tiranvalipour la cosa importante è rappresentare gli atleti rifugiati con orgoglio. «Un atleta rifugiato è tutta un’altra cosa rispetto a un atleta “normale” – ha spiegato -. Abbiamo una vita molto difficile, e siamo lontani dalle nostre famiglie. Io voglio essere alle Olimpiadi per rappresentare tutti loro. […] Non abbiamo una bandiera, ma abbiamo 120 milioni di persone a sostenerci, e per questo dobbiamo rappresentarle. Se hai un sogno, devi continuare a lottare. È una nostra responsabilità verso tutti loro».
Tiranvalipour ha gareggiato mercoledì 7 agosto, al Grand Palais, perdendo contro l’atleta palestinese Omar Yaser Ismail.
Sin qui della compagine dei rifugiati l’unica che ha ottenuto una medaglia è stata Cindy Ngamba, pugile camerunense rifugiata in Gran Bretagna. È la prima volta un membro del team dei rifugiati ottiene una medaglia. Nel caso della Ngamba si tratta di un duplice record, perché è stata la prima boxer rifugiata a ottenere la qualificazione alle Olimpiadi.