Ai Giochi paralimpici di Parigi 2024 si sono sfidati oltre 4.000 atleti. Tra loro l’afghana Zakhia Khudadadi, fuggita dai talebani nel 2021 – e prima storica medaglia olimpica della squadra dei rifugiati – e Jana Saisunee, plurimedagliata atleta della Thailandia
Si concludono oggi 8 settembre i Giochi paralimpici di Parigi 2024, con una cerimonia di chiusura allo Stade de France. Tra i tanti atleti che si sono sfidati – circa 4.000 – due giovani donne hanno conquistato ben più di due medaglie. Hanno vinto una battaglia contro pregiudizi e oppressione.
Zakia Khudadadi è una di loro. Classe 1998, è nata nella provincia di Herat. A Parigi, ha vinto il bronzo nel para taekwondo – e la prima medaglia per la squadra paralimpica dei rifugiati – lo scorso 29 agosto nella categoria -47 Kg. Zakia ha ottenuto la vittoria per 9-1 contro la turca Nurcihan Ekinci, rimontando negli ultimi 60 secondi e assicurandosi così una medaglia storica. «Sono molto, molto felice perché oggi si è realizzato il sogno della mia vita. Significa molto per me. Questa medaglia è dedicata ai rifugiati di tutto il mondo», ha dichiarato.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), sono 120 milioni i profughi a causa di guerre, conflitti, violazioni dei diritti umani e crisi climatica. Tra questi, le persone con disabilità ammontano a 18 milioni.
Appartenente alla minoranza sciita degli hazara in un Afghanistan prevalentemente sunnita, Zakia è nata con un braccio atrofizzato e si è interessata al taekwondo quando nel 2008 ha visto Rohullah Nikpai – un hazara come lei – vincere in tv la prima medaglia olimpica del Paese. Da lì, l’incontro con un allenatore che l’ha presa sotto la sua ala e che ha visto in lei una ragazza forte che si dedicava allo sport per sfuggire alla sua condizione di donna e disabile. Allenandosi in segreto nella sua piccola stanza di 9 metri quadrati, è cresciuta rapidamente, qualificandosi ai campionati africani di para taekwondo del 2016 a Port Said, in Egitto, e vincendo l’oro ai campionati europei di Rotterdam nel 2023.
Ma proprio due settimane prima dei Giochi di Tokyo – il 15 agosto 2021 – i talebani hanno preso Kabul, ed essendo Zakia un’atleta donna e disabile, è stata esiliata dalla squadra nazionale. Con l’aiuto di un’attivista per i diritti delle donne e professoressa all’Università di Kabul, Fahimeh Robiolle, e dello Stato francese, Zakia è riuscita a fuggire e a gareggiare ai alle Olimpiadi. «Dopo Tokyo, molti Paesi mi hanno offerto asilo – racconta al quotidiano La Croix – ma ho scelto la Francia perché mi ha aiutato a fuggire dai talebani». Da allora si allena ogni giorno con la squadra francese con sede all’Institut National de Sport (Insep). Dopo la sua medaglia, Zakia – che spera di gareggiare anche ai Giochi di Los Angeles sotto la bandiera francese nel 2028 – ha parlato ancora una volta della sua lotta: aiutare le donne e le ragazze afghane, che ancora oggi sono private di molte libertà. «Ho lavorato duramente e con questa medaglia volevo mostrare la forza delle ragazze e delle donne afghane al mondo. La vita è molto difficile per loro, non c’è uguaglianza in nessun ambito. Spero che un giorno vinceremo, così potrò riconquistare la libertà nel mio Paese», ha raccontato in un’intervista a Le Parisien.
Altra atleta che ha fatto sognare è la thailandese Jana Saisunee, che invece rappresenta il suo Paese, la Thailandia, ai Giochi Paralimpici da oltre 20 anni. Il 4 settembre ha conquistato la medaglia d’oro nella scherma in carrozzina. L’argento è andato alla cinese Xiao Rong e il bronzo alla campionessa italiana Bebe Vio. «È stato molto difficile per me accettare la mia disabilità perché non ci sono nata. Ma grazie all’amore che nutro per la mia famiglia, ho ottenuto molto nella vita», ha dichiarato. Rimasta paraplegica a seguito di un incidente stradale avvenuto 30 anni fa, ha dovuto trascorrere i sette anni successivi cercando di rimettere in piedi la sua vita. «Ero piena di sensi di colpa perché ero diventata un peso per la mia famiglia. Non riuscivo ad accettare la mia disabilità. I miei genitori dovevano lavorare sodo, non solo per far quadrare i conti, ma anche per mantenere me e mia sorella minore. Un giorno ho avuto la possibilità di partecipare a un seminario organizzato dal centro di formazione sulla disabilità locale e ho visto persone che stavano peggio di me che riuscivano comunque a prendersi cura di loro stesse e delle loro famiglie. Solo allora ho capito che non ero sola. Se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anch’io. Dovevo cambiare mentalità se volevo il meglio per la mia famiglia».
La sua carriera è iniziata nel 1999 quando ha deciso di dedicarsi allo sport per contribuire al sostentamento della sua famiglia vincendo medaglie. E ci è riuscita. La sua è una carriera strepitosa: bronzo e oro vinti ad Atene 2004 nel fioretto e nella spada; bronzo nella spada a Pechino 2008; oro nella spada a Londra 2012; argento nella spada a Rio 2016; e ancora bronzo nella spada a Tokyo 2020 fino all’oro di Parigi 2024 nel fioretto, per un totale di 3 ori, 1 argento e 3 bronzi.
In un Paese in cui la disabilità è ancora un tabù e porta con sé difficoltà, discriminazione e rifiuto da parte della società e, talvolta, anche dalla propria famiglia, la determinazione di Jana rappresenta un simbolo di rivincita. «Oggi la società thailandese ci accetta meglio di prima. Le città sono più accessibili e la legge ci aiuta maggiormente quando si tratta di lavorare, essere un atleta o semplicemente vivere la vita di tutti i giorni. La cosa più importante per noi è l’accettazione: dobbiamo imparare ad amare noi stessi e a scoprire il nostro valore».