Stati Uniti, fuori i fucili dalle chiese

Stati Uniti, fuori i fucili dalle chiese

Dalla pressione verso le aziende produttrici fino ai riacquisti parrocchiali di armi, una parte del mondo cattolico statunitense si sta mobilitando contro una cultura della violenza che provoca ogni anno decine di migliaia di vittime.Guarda anche l’ultima puntata di Finis Terre con l’intervista a padre Mike Murphy

Una fila di auto si accoda fin dalla mattina presto nello spiazzo di fronte a un centro commerciale nel quartiere di Edmondson Village a Baltimora, non lontano dalla parrocchia di St. Joseph Monastery. Ad accogliere le persone che, a turno, si avvicinano a lasciare il carico, piccolo o più voluminoso, appena tolto dal bagagliaio, c’è il parroco padre Mike Murphy, accompagnato dalle forze dell’ordine locali. Questa, infatti, non è una raccolta di beneficenza di alimenti o abiti usati ma un gun buyback, letteralmente un “riacquisto di armi”, organizzato dall’arcidiocesi della città del Maryland insieme a una rete di associazioni impegnate – spiega il sacerdote – a «costruire una cultura di pace e promuovere la consapevolezza che ogni vita è sacra».

Se negli Stati Uniti ci sono più fucili che abitanti – 120 armi da fuoco ogni 100 persone secondo i dati dell’organizzazione Small Arms Survey -, a Baltimora il tasso di morti violente è tra i più alti della nazione: tra il 2015 e il 2022 gli omicidi hanno sempre superato i trecento all’anno. «Di fronte a questa vera e propria emergenza, abbiamo deciso che dovevamo togliere fisicamente quante più armi possibile dalla strada», racconta padre Mike. È nata così, l’anno scorso, l’idea del primo buyback: diversi enti legati all’arcidiocesi, tra cui una scuola, un ospedale e varie associazioni caritative, hanno collaborato a una raccolta di fondi grazie a cui è stato possibile rimborsare con contanti o buoni per la spesa i cittadini venuti a consegnare – senza domande da parte degli agenti – pistole, carabine, addirittura fucili semiautomatici. A fine giornata, erano stati raccolti 362 pezzi destinati poi alla distruzione.

Questo tipo di iniziativa, che alle nostre latitudini può risultare decisamente insolito, si sta diffondendo tra quelle realtà cattoliche – e più in generale cristiane – che negli Stati Uniti hanno scelto di scendere in campo contro gli effetti tragici della cultura delle armi di cui la loro nazione è intrisa. E di cui si è tornato a parlare nei dibattiti politici alla vigilia delle elezioni presidenziali del 5 novembre.

In questi mesi, buyback sono stati organizzati in diverse parrocchie da Detroit, in Michigan, a Rockville, nel Maryland, fino a Waukegan, nell’Illinois, dove all’evento è intervenuto anche il cardinale Blase Cupich di Chicago, voce schietta sul tema in un Paese in cui, dall’inizio dell’anno alla fine di settembre, il Gun Violence Archive ha censito 409 sparatorie di massa, molte delle quali mortali. E non si tratta solo di questi episodi eclatanti, che periodicamente finiscono anche sui nostri telegiornali, ma di uno stillicidio quasi quotidiano: secondo i Centers for Disease Control and Prevention, nel 2020 la violenza armata aveva superato gli incidenti automobilistici come principale causa di morte tra i bambini statunitensi.

«Siamo ben consapevoli che i riacquisti non sono una soluzione miracolosa, tuttavia ciò che sappiamo per certo è che riducono il numero di armi da fuoco che potrebbero essere usate in casi di violenza domestica o di suicidio, o finire nelle mani sbagliate: ogni fucile consegnato porta con sé il potenziale di salvare una vita», afferma padre Murphy. «In più, si tratta di un segno potente alla comunità, alla luce del messaggio cristiano». Se il materiale raccolto viene in genere indirizzato alla fusione, alcune organizzazioni religiose, come Guns to Gardens e RawTools, smontano revolver e fucili e ne usano i pezzi per realizzare attrezzi per l’agricoltura: un richiamo alla profezia biblica di Isaia: «Essi, con le loro spade, costruiranno vomeri di aratro e, con le loro lance, falci».

«Naturalmente – spiega padre Mike – i buyback rappresentano solo una delle iniziative per sensibilizzare fedeli e cittadini: abbiamo organizzato preghiere per la pace e una processione attraverso il quartiere durante la quale i membri della comunità hanno letto i nomi delle persone uccise da armi da fuoco nel corso dell’anno precedente in città. Un modo per testimoniare che questa gente ha un volto, una famiglia, non si tratta di numeri. Alcuni parenti delle vittime erano presenti ed è stato molto toccante».

Occasioni che si aggiungono all’impegno costante del Ministero del lutto dell’arcidiocesi: «Aiutiamo le famiglie colpite da episodi di violenza non solo con la preghiera e il supporto umano ma anche attraverso la fornitura di generi alimentari freschi e il sostegno economico per affitti e bollette, visto che nella maggior parte dei casi si tratta di nuclei vulnerabili, molto poveri. L’anno scorso un giovane è stato assassinato fuori da casa, a pochi passi dalla parrocchia, e abbiamo contribuito alle spese per la sepoltura. Questo lavoro fa percepire la vicinanza della Chiesa alla sua comunità e aiuta ad arginare il ciclo delle rappresaglie».

Le esperienze di attivismo dalla base, sorte dall’iniziativa diretta dei fedeli, nascono spesso in conseguenza di traumi vissuti in prima persona in seguito alle purtroppo frequenti stragi, in particolare nelle scuole. È ciò che è successo nel caso del Comitato per la pace e la giustizia della parrocchia di Cristo Redentore a Lake Orion, vicino a Oxford, di cui Pat Damer è uno dei membri più attivi. Una delle figlie di Damer si trovava alla Oxford High School il giorno della sparatoria del 2021 in cui quattro studenti persero la vita e sette persone rimasero ferite. La classe della ragazzina si barricò nell’aula e lei sopravvisse. Solo un anno dopo, un’altra delle figlie di Pat era nel campus della Michigan State University la notte in cui un uomo armato entrò in due edifici dell’ateneo e uccise tre studenti, ferendone altri cinque. Anche lei si salvò, ma quelle due esperienze toccarono profondamente Damer e la moglie Jeanne, che oggi sono in prima linea per promuovere la consapevolezza sulla piaga della violenza armata. Tra le varie iniziative, il Comitato ha promosso una campagna grazie alla quale centinaia di parrocchiani hanno inviato lettere ai legislatori del Michigan per sostenere alcuni progetti di legge sulla sicurezza delle armi.

Quando tocco questo argomento, anche tra i miei parrocchiani le sensibilità sono molto diverse», racconta padre Murphy. «C’è sempre qualcuno che richiama il secondo emendamento della Costituzione americana, che protegge il diritto dei cittadini di detenere e portare armi. Ma la questione è approvare leggi di buon senso, che vietino per esempio i fucili d’assalto, come i famigerati Ar-15 usati in molte delle recenti stragi di massa. Si tratta di armi da guerra, che non dovrebbero trovarsi nelle mani di un cittadino, magari minorenne!».

Proprio questo tipo di fucili sono finiti nel mirino delle religiose appartenenti a “Nuns against gun violence”, “Suore contro la violenza armata”, una coalizione che include più di 60 congregazioni attive in particolare sul fronte dell’advocacy e dell’educazione. Ma anche dell’attivismo economico: dal 2018 quattro congregazioni di Michigan, Maryland, Pennsylvania e Oregon hanno acquistato azioni del produttore di armi Smith & Wesson e partecipano alle assemblee per influenzarne la policy. Dopo aver chiesto di interrompere il marketing rivolto ai bambini nei videogiochi, l’anno scorso le sorelle hanno citato in giudizio il consiglio di amministrazione dell’azienda sostenendo che la produzione e vendita di fucili semiautomatici, non in linea con le normative, metterebbe a rischio gli azionisti.

«Queste iniziative, spesso simboliche, mandano un messaggio chiaro, che è quello scritto nero su bianco nel catechismo della Chiesa cattolica», commenta padre Mike. Due anni fa, in una dichiarazione in cui affrontavano l’epidemia di violenza negli Usa, i vescovi statunitensi hanno esortato i membri del Congresso ad agire per «affrontare tutti gli aspetti della crisi», tra cui «la salute mentale, lo stato delle famiglie» e anche «la disponibilità di armi da fuoco». Su tutti questi fronti, rilancia padre Murphy, «noi fedeli dobbiamo essere in prima linea».